Dalla mezzanotte dello scorso venerdì, l’Argentina formalmente è in default tecnico, non avendo onorato il pagamento di una scadenza da 500 milioni di dollari e rispetto al quale si era concluso il periodo di grazia dei 30 giorni. E’ la nona volta nella sua storia che Buenos Aires va in default. L’ultima era stata nel 2014, quando non aveva potuto ottemperare ai suoi obblighi verso gli obbligazionisti esteri, a causa del “congelamento” dei fondi da parte del giudice americano Thomas Griesa, il quale diede ragione ai fondi “buitres” (“avvoltoio”) con una sentenza ai danni del governo argentino.
Malgrado l’evento creditizio, tra le parti le trattative proseguono per cercare un accordo con il quale ristrutturare il debito sovrano emesso sui mercati esteri per circa 66 miliardi di dollari. In totale, il debito pubblico dell’Argentina ammonta a 414 miliardi di dollari, pari al 93%. Per le agenzie di rating, è di gran lunga “spazzatura”: “Selected Default” per S&P, “C” per Fitch e “Ca” per Moody’s.
La difficile lezione dell’Argentina, vicina al nono default della sua travagliata storia
I termini della proposta di accordo
Nel fine settimana, Exchange Bondholder Group, che comprende 18 investitori, nel complesso detentori del 15% del debito oggetto di rinegoziazione, risulta essere stato raggiunto dal governo e oggetto di una proposta di “accordo confidenziale”. Anche BlackRock, tra gli investitori più recalcitranti, nei giorni scorsi ha riconosciuto la necessità di un accordo. Pare anche che il governo abbia modificato alcuni termini della sua proposta, che ad oggi consiste nel sospendere il pagamento delle cedole e del capitale fino alla fine del 2023, nel tagliare le cedole del 62% e fino a raggiungere gradualmente il 2,3%, nel tagliare il capitale del 5,4%.
Gli obbligazionisti pretenderebbero che almeno il taglio delle cedole venisse ridotto o che la sospensione dei pagamenti durasse di meno. Del resto, è evidente come l’amministrazione di Alberto Fernandez stia cercando il modo di coprire tutto il mandato senza doversi preoccupare delle scadenze a favore degli investitori esteri.