Dal 2023 si potrà andare in pensione anticipata a 64. E’ questo l’obiettivo del governo, già tracciato con l’istituzione di quota 102 che vale, però, solo fino alla fine del 2022.
I vincoli di bilancio che il premier Draghi intende far rispettare ad ogni costo sono però legati anche alla spesa per le pensioni. Andare in pensione a 64 anni sarà quindi possibile sono a fronte di tagli agli assegni.
In pensione a 64 anni dal 2023
Si tratterebbe quindi di emulare quanto già avviene in altri Paesi, come in Germania o negli Stati Uniti.
Opzione Donna è il meccanismo ispiratore. La pensione a 64 anni dal 2023 sarebbe calcolata solo col sistema contributivo e quindi, di fatto, penalizzante rispetto al misto. Basta correggere la legge che già esiste e che prevede l’uscita dal lavoro ai contributivi puri al raggiungimento dell’età di 64 anni con almeno 20 anni di contributi.
Ma l’assegno previsto non deve essere inferiore a 2,8 volte il trattamento minimo di pensione. Non è cosa da poco, poiché tale soglia corrisponde a circa 1.310 euro al mese e pochissimi lavoratori vi potranno accedere. Sicché basterebbe abbassare il valore da 2,8 a 1,5 (previsto per i 67 enni), ad esempio, per allargare la platea dei beneficiari.
Ricalcolo contributivo e penalizzazione
Posto che per attuare questo sistema di calcolo è necessario che il lavoratore accetti la migrazione dei contributi versati prima del 1996, quanto si perderebbe di pensione?
Secondo gli esperti, la percentuale di penalizzazione non è uguale per tutti, ma varia in base al peso contributivo di ciascuno lavoratore ante 1996. In pratica, più contributi da migrare dal sistema retributivo a quello retributivo ci sono, maggiore sarà la perdita.
I sindacati si oppongono fermamente a questo tipo di soluzione, prospettando tagli dell’ordine del 30%.