In pensione a 64 anni, per i contributivi puri è una pia illusione

Andare in pensione a 64 anni con almeno 20 di contributi è quasi impossibile. Tutti i motivi che limitano l’accesso ai contributivi puri.
3 anni fa
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Andare in pensione a 64 anni? Una vera e propria illusione che la ministra Elsa Fornero nel 2012 ha fatto passare come soluzione alternativa all’uscita dal lavoro a 66 anni (ora 67) con almeno 20 di contributi versati.

Questa possibilità esiste ma è riservata ai contributivi puri, cioè a coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995. Ma, in concreto, chi veramente potrà andare in pensione con simili requisiti? A conti fatti è quasi impossibile, vediamo perché.

La pensione a 64 anni per chi i contribuitivi puri

La legge consente l’uscita dal lavoro al raggiungimento dell’età di 64 anni con almeno 20 anni di contributi, ma l’assegno previsto non deve essere inferiore a 2,8 volte il trattamento minimo di pensione.

Non è cosa da poco, poiché tale soglia corrisponde nel 2021 a 1.288,78 euro al mese. Allora la domanda che ci si pone è questa: quanto bisogna aver versato per rientrare in questi parametri?

Per saperlo bisogna fare un calcolo partendo dal monte contributivo accumulato applicando il coefficiente di trasformazione che, per l’anno in corso e l’età anagrafica di 64 anni, corrisponde al 5,06%. Ovviamente più si sale con l’età, maggiore sarà il valore di tale coefficiente e l’importo della pensione.

Nel caso in specie, per ottenere il diritto alla pensione a 64 anni bisogna avere alle spalle un montante contributivo di 331.000 euro. Una cifra molto alta che si può ottenere solo con una retribuzione media di 4.000 euro al mese versati per almeno 20 anni di fila.

L’importo dell’assegno sociale

Ma non solo. Dal 2022 l’importo dell’assegno sociale salirà a 468,10 euro al mese, pertanto anche la soglia limite per accedere alla pensione a 64 anni si alza passando a 1.310,68. E di conseguenza tutti i calcoli di cui sopra vanno rivisti e l’accesso alla pensione a 64 anni diventa difficile.

Anche i coefficienti di trasformazione non sono statici. Sono periodicamente aggiornati dal Mef (ogni due anni) in base alle aspettative di vita e quindi tendono ad abbassarsi.

Un meccanismo, quindi, che nel complesso tende a sfavorire l’uscita anticipata dal lavoro.

Da considerare, infine, che le ipotesi di calcolo appena esposte si riferiscono a rosse aspettative di carriera, senza interruzioni di lavoro o periodi scoperti.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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