Quando si parla di pensione anticipata, un luogo comune o addirittura un credo collettivo dei lavoratori sostiene che ci siano penalizzazioni. In altri termini la maggior parte delle persone credono che qualsiasi misura di pensionamento anticipato venga concessa ad un lavoratore, non sia del tutto gratuita da parte dell’INPS. E lo stesso dubbio che è venuto ad un nostro lettore che pare abbia i requisiti per poter accedere alla pensione con la quota 102, ma che è spaventato dalle possibili ripercussioni sull’importo dell’assegno che andrà a percepire.
La pensione con le quote, al momento nessuna penalizzazione strutturale dell’assegno
“Gentile esperto, vorrei sapere se accedendo alla pensione con la quota 102 quest’anno, dal momento che presto compirò il 64esimo anno di età ed ho già 39 anni di contributi versati, corro dei rischi di perdere parte della mia pensione. Mi hanno detto infatti che rischio di essere penalizzato dall’uscita anticipata è che tutti i contributi ulteriori rispetto ai 38 anni che servono per la quota 102 vengono perduti. È vero o no?”
Il dubbio del nostro lettore è lecito, anche se come vedremo poco incline alla realtà. Sono le varie voci su ipotetiche nuove misure che in aggiunta alle critiche che sono state mosse a misure quali la quota 100 o la quota 102, che spingono a credere in questo. Ma cosa si perde davvero andando in pensione a 64 anni, magari con la quota 102?
La pensione per quotisti, da 62 a 64 anni, ma le regole non cambiano
La pensione con quota 102 di fatto è una riproposizione della quota 100 con un inasprimento di due anni sull’età pensionabile. Infatti la quota 100 consentiva il pensionamento a partire dai 62 anni di età. La quota 102 fa lo stesso, ma lo fa dai 64 anni. Il requisito contributivo resta inalterato ed ancorato ai 38 anni. Per rispondere a quella serie di dubbi che ha esposto il nostro lettore, va detto che in entrambi i casi si tratta di misure neutre da problematiche relative a penalizzazioni o cose simili.
Cosa si perde con la quota 102
Le penalizzazioni, se così si possono chiamare, riguardano due aspetti. Parlare di penalizzazione però è esagerato, perché si tratta di due particolarità che potremmo definire fisiologiche in materia pensionistica. Infatti uscire a 64 anni e con 38 anni di contributi significa interrompere la carriera lavorativa. Restando in servizio fino a 67 anni, il lavoratore può godere di 3 anni in più di contributi versati. E 3 anni incidono sulla pensione, portandola ad essere più alta. Inoltre, il sistema previdenziale italiano prevede che i contributi versati durante la carriera lavorativa e che confluiscono in quella specie di salvadanaio che è il montante contributivo, il giorno dell’uscita del lavoro vengano trasformati in pensione mediante dei coefficienti di trasformazione. Coefficienti che sono tanto più favorevoli al pensionato quanto più ci si avvicina ai 67 anni di età. In pratica prima si esce dal lavoro meno favorevoli sono le regole di trasformazione dei contributi in pensione.
Come si arriva al rateo di pensione
Piccole perdite quindi e non vere e proprie penalizzazioni come invece si parla per alcune ipotesi di riforma delle pensioni è di nuove misure. Infatti in linea di massima una penalizzazione è quella che viene imposta o per via del calcolo contributivo della prestazione, o per via dei tagli lineari di assegno per anno di anticipo. E non è il caso di quota 100 e nemmeno di quota 102. Tutte e due le misure sono neutre da penalizzazioni. Significa che il calcolo della pensione, così come per le pensioni di vecchiaia ordinarie o per le pensioni anticipate è il medesimo.
Tra retributivo e contributivo
Tutto dipende dagli anni di contributi versati e dal periodo in cui il lavoratore li ha accumulati. Nello specifico si ha diritto al calcolo retributivo fino al 31 dicembre 2011 per i lavoratori che hanno già maturato almeno 18 anni di contributi entro il 31 dicembre 1995. Si ha diritto invece al calcolo retributivo fino al 31 dicembre 1995 per chi non ha maturato 18 anni di contributi entro tale data. Il calcolo diventa tutto contributivo per i cosiddetti contributivi puri, ovvero per lavoratori che hanno il primo contributo versato solo successivo al 32 dicembre 1995.
Meglio lavorare ancora o lasciare subito il lavoro?
In buona sostanza quindi il nostro lettore non rischia nulla uscendo dal lavoro subito con la quota 102 senza attendere altri tre anni per arrivare ai 67. Non rischia penalizzazioni e tagli di assegno. E non rischia che gli anni di lavoro in più rispetto ai 38 della quota 102 siano inutili. È naturale però che restando al lavoro altri tre anni e continuando a versare i contributi, la pensione salga. Senza considerare poi quel piccolo incremento di assegno legato ai coefficienti. Come detto, i coefficienti di trasformazione a 67 anni risultano essere più favorevoli al pensionato.