Nel nostro sistema previdenziale italiano le misure che concedono una pensione nettamente anticipata rispetto ai requisiti ordinari sono davvero tante. Molte volte, però, queste misure comportano penalizzazioni sull’assegno pensionistico a cui devono sottostare i lavoratori interessati. In alcuni casi, questi tagli all’assegno sono ben noti ei dubbi sono pochi.
In altri casi, ci sono penalizzazioni nascoste che incidono notevolmente sull’importo del trattamento pensionistico. Su questi tagli, molti pensionati si lamentano.
“Buonasera, oggi volevo capire grazie alle vostre spiegazioni se è vero ciò che mi hanno detto al Patronato.
Tutte le penalizzazioni nascoste per le pensioni anticipate
Il nostro lettore ha centrato esattamente tutti i punti cardine dell’Ape sociale, sicuramente perché ben informato dal suo Patronato. Effettivamente, la pensione con l’Ape sociale, che secondo noi non può nemmeno essere chiamata pensione, ha delle importanti limitazioni. Gli importi delle prestazioni sono davvero ridotti e diventano convenienti solo per chi effettivamente ha diritto a trattamenti più bassi di 1.500 euro.
Infatti, per chi ha diritto a una pensione più elevata, il taglio è deciso e duraturo. Il nostro lettore, attualmente, ha una situazione retributiva che gli permette di guadagnare discretamente. Con l’Ape sociale, questo non sarà più possibile, almeno fino a quando non completa l’anticipo e passa a percepire la pensione di vecchiaia ordinaria.
L’Ape sociale non è l’unica misura che costringe i pensionati a perdere soldi per andare in pensione prima. Un lavoratore che intende andare in pensione in anticipo deve sapere che spesso non potrà percepire trattamenti pensionistici più alti di determinati importi. Molte pensioni, anche se permettono di anticipare l’età di pensionamento, prevedono penalizzazioni sull’assegno.
Questa regola vale per le pensioni con Opzione Donna, quelle con la Quota 103 e pure per quelle dell’Ape sociale. Quest’ultima misura, alla pari della Quota 103, presenta due penalizzazioni: una sugli importi del trattamento e l’altra sul cumulo con eventuali altri redditi da lavoro. Questo limita molto l’attrattiva di una misura che presenta molte penalizzazioni.
Il tetto massimo della pensione anticipata con l’Ape sociale, ecco le soglie
Fissare un tetto massimo alla pensione anticipata che un contribuente può percepire è una regola che ormai appare in diverse misure pensionistiche. E l’Ape sociale è una di queste. Chi va in pensione con questa misura, infatti, non può ricevere un trattamento superiore a 1.500 euro al mese. E può percepire questa prestazione per 12 mesi all’anno. Quindi senza la tredicesima mensilità che è invece presente in tutte le altre misure pensionistiche.
Va ricordato che l’Ape sociale è riservata solo ai lavoratori che rientrano in una delle quattro categorie citate. Parliamo di invalidi, caregiver, addetti alle mansioni gravi e disoccupati. Il contributore che vuole usufruire dell’Ape sociale deve avere almeno 63,5 anni di età.
Il disoccupato deve aver terminato di percepire interamente la Naspi. Il caregiver deve risultare convivente con il familiare disabile grave da almeno sei mesi. L’invalido, invece, deve essere stato riconosciuto disabile almeno al 74%. Per queste tre categorie sono necessari almeno 30 anni di contributi.
Per i lavoratori con mansioni gravose, invece, ne servono almeno 36. Ma indipendentemente dai contributi versati e dall’entità di questi, l’importo della prestazione non può superare i 1.500 euro al mese, ossia 18.000 euro all’anno lordi, una pensione quindi ancora più bassa.
In pensione anche a 63 anni ma l’INPS non dà più di 1.500 euro lordi al mese
Molti contributori lamentano il fatto che con l’Ape sociale la pensione anticipata sia davvero bassa. L’unica cosa positiva è che si tratta di un taglio dell’assegno, cioè di una limitazione sulle importazioni, di durata pari all’anticipo ottenuto.
In altre parole, un contribuente subirà questo limite fino ai 67 anni di età, quando potrà richiedere la pensione di vecchiaia ordinaria al posto dell’Ape sociale. A quel punto, la limitazione scomparirà naturalmente, perché le pensioni di vecchiaia non prevedono questo taglio.
E sempre a 67 anni di età scomparirà un altro vincolo oggi applicato all’Ape sociale: il divieto di cumulare i redditi derivanti da un’attività lavorativa, dipendente o autonoma, con quelli derivanti dalla pensione in regime di Ape sociale. Durante i mesi e gli anni di fruizione dell’Ape sociale, l’interessato non potrà svolgere attività lavorativa, salvo quella derivante da lavoro autonomo occasionale.
In questo caso, il cumulo è ammesso, ma solo se il reddito proveniente dal lavoro autonomo occasionale non eccede i 5.000 euro annui.