Le pensioni in Italia sono praticamente ad un bivio. In pratica il 2023 potrebbe essere l’anno della svolta in materia previdenziale. Le nuove elezioni aprono a scenari nuovi, soprattutto perché tutte le componenti politiche che si scontreranno nella campagna elettorale, pensano che sia ora di superare la rigidità della riforma Fornero. Ma c’è anche un altro motivo che spingerebbe verso nuove misure e nuove vie per andare in pensione. In effetti alcune delle misure oggi molto note e molto utilizzate potrebbero scomparire perché in scadenza il prossimo 31 dicembre.
“A febbraio 2023 compio 63 anni ed ho 25 anni di contributi versati. Dovrei lavorare ancora fino a 67 anni per andare in pensione, almeno per quanto ne so io. Però sembra che qualcuno vorrebbe proporre una uscita a 63 anni con almeno 20 anni di contributi. Ho sentito dire che una vecchia proposta di Cesare Damiano potrebbe fare al mio caso. Parlo del DDL 857. Secondo voi potrei rientrare in questa misura? Inoltre vorrei sapere se secondo voi questa possibilità può diventare realtà o meno”.
Perché l’uscita farebbe gola a molti
Ed in pensione nel 2023 a 63 anni e come funziona il DDL 857 di cui si parla di nuovo non è certo una domanda comune solo al nostro lettore. La domanda però è piuttosto interessante anche perché si torna a parlare di una vecchia proposta di legge del 2013 firmata per tre esponenti del PD di allora, Cesare Damiano, Marialuisa Gnecchi e Pier Paolo Baretta.
Come funzionerebbe l’uscita a 63 anni del DDL857
Una vecchia proposta dell’allora presidente della commissione lavoro della Camera Cesare Damiano, e soprattutto di altri due esponenti del Partito Democratico, Marialuisa Gnecchi e Pier Paolo Baretta, è contenuta nel cosiddetto DDL 857. Una proposta di riforma delle pensioni che ha fatto tanto discutere in passato anche perché sembrava la più vicina ad essere approvata. La proposta parlava di diverse misure che consentivano di superare una volta per tutte la legge Fornero. Infatti, anche se la legge Fornero è del 2011, immediatamente dopo il suo varo si iniziò a lavorare per rendere meno rigidi i requisiti imposti proprio da quella normativa. E in questo il DDL 857 di Cesare Damiano era piuttosto innovativo all’epoca. Il suo disegno di legge infatti parlava della possibilità di aprire ad un pensionamento a partire dai 63 anni di età (ma all’epoca si parlava di 62 anni) per tutti i lavoratori senza distinzioni di tipologia di lavoro o di problematiche familiari o fisiche. L’innovazione stava nel fatto che si prevedevano penalizzazioni per ogni anno di anticipo rispetto all’età pensionabile vigente.
La pensione a 63 anni ma con taglio per anno di anticipo
Il DDL 857 introduceva una pensione a partire da 63 anni di età, ma con una penalizzazione che andava dal 2% al 3% per ogni anno di anticipo rispetto ai 67 anni della pensione di vecchiaia ordinaria. In altri termini si introduceva una sorta di flessibilità penalizzante per i pensionati. In buona sostanza, fino a 30 euro in meno di pensione ogni 100 euro incassati per ogni anno di anticipo.
Perché le penalizzazioni delle pensioni?
E il taglio sarebbe maggiore quindi per questi lavoratori. Ma il taglio è la soluzione a due problematiche del sistema. La prima riguarda la spesa pubblica che deve essere contenuta. Imporre tagli di assegno significa per lo Stato, spendere di meno e recuperare nel lungo termine quanto speso in più per l’anticipo concesso ai lavoratori. Inoltre le penalizzazioni di assegno solo la soluzione per rendere flessibile il sistema, dando al lavoratore la libertà di scegliere quando e come lasciare il lavoro. Misure neutre da tagli e penalità infatti diventerebbero di fatto misure scelte da tutti o quasi, e quindi addio proprio alla flessibilità.