I soldi della pensione non bastano più per vivere. Per la maggior parte degli italiani che vivono solo di rendita pubblica le difficoltà stanno aumentando e il rischio di scivolare verso la soglia di povertà è concreto.
A colpire duro è soprattutto l’inflazione 2022 incredibilmente esplosa per via del rincarto delle del costo delle bollette energetiche. Dai carburanti, al gas passando per l’elettricità, l’Italia è stata improvvisamente investita da un’ondata anomala di rincari i cui effetti sul potere di acquisto dei consumatori non sono ancora del tutto assimilati.
I soldi della pensione non bastano
A pagare il conto più salato, però, sono soprattutto i soggetti più deboli e che non sono più in grado di lavorare. In particolare coloro che vivono di sola pensione e che faticano ad arrivare a fine mese. La violenza con cui i prezzi dei generi di largo consumo si sono impennati nella seconda metà dell’anno sta mettendo in seria difficoltà tantissimi pensionati. Al punto che il governo è intervenuto con tre decreti Aiuti specifici per evitare il peggio.
Fra gli interventi di rilievo, anche quello che alza il limite di impignorabilità delle pensioni fino a 1.000 euro (prima era 702). Il che è significativo del fatto che molti non riescono più a pagare le spese necessarie, i debiti e le rate pregresse nei confronti dei creditori. Questo per dare un’idea di quanto drammatica sia diventata la vita quotidiana per molti pensionati in Italia.
In questo scenario calza a pennello la proposta di Silvio Berlusconi di portare tutte le pensioni minime a 1.000 euro per evitare lo sprofondamento di tanti italiani verso la povertà e l’indigenza. Un intervento a difesa sicuramente dei soggetti più deboli, ma anche a sostegno di consumi e dell’economia.
Una questione di equità sociale e sicuramente di giustizia per chi non ce la fa ad arrivare a fine mese e fatica a mettere insieme il pranzo con la cena.
Pensioni in calo
Ma non è solo l’inflazione a pesare sulle pensioni. Per i lavoratori c’è anche il calcolo della rendita futura che sta lentamente scivolando verso l’entrata a regime del sistema contributivo. L’effetto è che gli importi, al netto delle rivalutazioni, sono in tendenziale diminuzione a parità di lavoro svolto e contributi versati.
Nel 2021 il totale delle pensioni liquidate dall’Inps è stato di 877.724, per un importo medio mensile di 1.203 euro. Di queste, 490.097 sono riferite a donne, per un importo medio mensile di 1.018 euro, e 387.627 a uomini, con 1.436 euro mensili.
Le nuove rendite liquidate quest’anno, da gennaio a giugno 2022, sono state 390.932 in totale, per un importo medio mensile di 1.173 euro. Anche in questo caso prevalgono per numero le pensioni femminili, 212.623 contro le 178.309 maschili. A fronte però di un importo medio mensile più basso (959 euro contro i 1.427 euro degli uomini).
Così per i futuri pensionati le previsioni non sono certo rosee. Bisognerà lavorare sempre di più per ottenere un assegno tale da poter condurre una vita normale e dignitosa.
Uno su tre prende meno di 1.000 euro al mese
In estrema sintesi, un pensionato su tre prende meno di 1.000 euro al mese. Un dato preoccupante che fa scivolare lentamente il nostro Paese verso una povertà sempre più marcata. Il quadro drammatico salta fuori dal rapporto annuale dell’Inps, presentato la scorsa primavera alla Camera dei deputati dal presidente dell’Inps, Pasquale Tridico. Un’analisi nella quale si evidenzia appunto l’andamento negativo delle pensioni più povere.
Nel dettaglio – spiega Tridico – alla fine del 2021 il 40% dei pensionati percepiva un reddito da pensione lordo inferiore ai 12 mila euro all’anno.
Tenendo conto anche di queste “voci”, scende al 32% la quota di pensionati con reddito annuo inferiore ai 12mila euro. Cifra che poteva andare bene dieci anni fa, ma che oggi non è affatto più adeguata al costo della vita. E senza un intervento dello Stato, il rischio è che tutto possa drammaticamente volgere al peggio.