Sarà l’ambiente domestico, sarà la lontananza da capi e superiori, ma sta di fatto che in smart working i lavoratori si ammalano meno. E non c’è da meravigliarsi se tre dipendenti su quattro preferiscono lavorare da casa che in ufficio con prevalenza della componente femminile.
A fotografare questa situazione è l’Inps. L’Istituto, raffrontando i dati dei certificati di malattia trasmessi lo scorso anno con quelli arrivati nel 2020 ha notato la variazione di trend. Il risultato è che nel terzo trimestre dell’anno il numero dei certificati è diminuito rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Calano i certificati di malattia in smart working
Più nel dettaglio, nel terzo trimestre sono giunti all’Inps 3.501.481 certificati di malattia, di cui l’81,5% dal settore privato. Nello stesso periodo del 2019 i certificati erano stati 3.948.078 e la componente privata pari all’80,3%.
La riduzione complessiva del terzo trimestre, dovuta sostanzialmente agli effetti di un ricorso generalizzato allo smart working a causa dell’epidemia di coronavirus, è pari a
- -16,9% per il settore pubblico,
- -10,0% per il settore privato.
Con riduzione pressoché equivalente (-8,9%) in entrambi i settori nelle regioni del Nord. Mentre si registra una differenza più marcata per le regioni del Centro (-22,6% per il pubblico e -13,9% per il privato) e del Sud (-21,3% il pubblico e -9,1% il privato).
Ci si ammala di meno, ma più a lungo
Caso sorprendente – fa notare l’Inps – sono aumentati però i giorni di malattia. Stando ai numeri, ad una diminuzione del numero di certificati è associato un aumento dei giorni di malattia, in particolare nel settore privato (+2,4%).
Il numero delle giornate medie di malattia per certificato passa da 5,9 a 6,7 per il settore privato e da 6,0 a 7,3 per il pubblico, un andamento che induce a pensare che i lavoratori si rivolgono al proprio medico soprattutto per patologie che richiedono più giorni di malattia evitando di farlo per malattie meno gravi.
In buona sostanza le assenze brevi per malattia fino a tre giornate lavorative sono calate, mentre aumentano quelle per periodi più lunghi. E il fenomeno è strettamente riconducibile allo smart working. Il lavoro agile da casa consente infatti di non ricorrere al medico per situazioni meno gravi.
Il risparmio per i datori di lavoro
Una conseguenza dello smart working è anche quello legato ai costi per il datore di lavoro. E’ stato rilevato che un lavoratore dipendente che svolge le proprie mansioni da casa trascorre il tempo lavorativo in condizioni di maggior benessere che in ufficio.
Dover raggiungere il luogo di lavoro magari dopo aver preso un treno stracarico di pendolari o essersi imbottigliato in una tangenziale comporta maggiore stress e disagio che si ripercuote sul rendimento. Ne va anche del benessere psicofisico e in questo senso lo smart working è di aiuto.
In altre parole, ci si ammala meno e si fa meno ricorso a terapie per essere sempre in forma in ufficio. Anche il distanziamento da colleghi e superiori è spesso di aiuto e non alimenta possibili focolai di mobbing.
Più del 90% dei lavoratori chiede smart working per sempre
Secondo un’indagine condotta dal Gruppo Digital 360 su un campione di dipendenti della pubblica amministrazione, più del 90% di essi vorrebbe proseguire il lavoro da casa. Nel complesso i dipendenti considerano l’esperienza più che positiva potendo conciliare l’orario di lavoro con le proprie esigenze personali lontano dagli occhi indiscreti di capi ufficio, direttori e colleghi. Non che queste relazioni siano venute meno poiché i contatti restano inalterati, seppur a distanza, ma tanti atteggiamenti subdoli e maldestri che stanno alla base del mobbing possono essere ignorati o celati. E la cosa sorprendente è che vi è stato a tutti i livelli un aumento della produttività.