In Venezuela l’inflazione è ‘solo’ al 107% e Maduro si avvantaggia dei petrodollari di Biden

In calo ai minimi da un decennio l'inflazione in Venezuela, che resta pur sempre sopra il 100%. Maduro riprende fiato grazie ai petrodollari.
9 mesi fa
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Inflazione al 107% in Venezuela, un 'successo' per Maduro
Inflazione al 107% in Venezuela, un 'successo' per Maduro © Licenza Creative Commons Artificiale

Nel mese di gennaio il tasso d’inflazione in Venezuela è sceso al 107,4%, ai minimi dell’ultimo decennio. Su base mensile, l’indice dei prezzi al consumo è salito solamente dell’1,7%. Un anno prima, la crescita era stata del 39,4%. Può sembrare assurdo, ma il semplice fatto che i prezzi stiano raddoppiando su base annua può considerarsi un successo per il regime di Nicolas Maduro, dopo che l’iperinflazione negli anni passati aveva provocato un boom fino a quasi del due milioni percento.

La tendenza è calante sin dal 2019, anno in cui il governo ha abbandonato le politiche più estremistiche e abbracciato qualche provvedimento di natura simil-liberale. Tra le altre cose, ha decriminalizzato l’uso del dollaro per effettuare i pagamenti.

Il ritorno dei petrodollari in Venezuela

Ed è così che l’inflazione è scesa dal 305% del 2022 al 193% dello scorso anno. Per il 2024 potrebbe restare appena in doppia cifra, almeno per Henkel Garcia, esperto finanziario ed economista indipendente. Il calo è dovuto essenzialmente alla stabilizzazione del tasso di cambio dopo il collasso totale degli anni passati. Il bolivar sul mercato nero scambia ormai al 5-6% più debole del tasso ufficiale. Significa che tra domanda e offerta si tra finalmente trovando un equilibrio. E sono i “petrodollari” a rendere possibile il miracolo.

Sanzioni USA allentate

Gli Stati Uniti di Joe Biden hanno allentato le sanzioni contro il Venezuela sin dal 2022. Nell’ottobre scorso hanno consentito alla compagnia americana Chevron di operare nel paese andino per sei mesi. Le estrazioni di greggio stanno lentamente risalendo, pur restando a meno di un terzo dei livelli raggiunti fino all’arrivo di Maduro al potere nel 2013. La tenuta delle quotazioni internazionali ha aiutato per un altro verso. L’afflusso di dollari nel paese ha consentito al Venezuela di aumentare le importazioni: in doppia cifra nel 2023. La maggiore offerta di prodotti sugli scaffali dei supermercati sta allentando la pressione sui prezzi.

A proposito, le importazioni staranno anche risalendo, ma stiamo parlando di cifre risibili rispetto al tracollo del 90% accusato tra il 2013 e il 2022. Rispetto all’era Chavez, dunque, i venezuelani riescono in volume a comprare dall’estero appena un decimo dei beni. Le riserve valutarie, pur in leggera ripresa, restano bassissime, sotto quota 10 miliardi di dollari dal picco dei 43 toccati a fine 2008. E per quasi tre quarti sono in oro, un asset poco liquido. In scia all’ottimismo, i bond sovrani e Pdvsa erano risaliti nei mesi scorsi con la riattivazione del trading. Il ripiegamento successivo segnala la consapevolezza che un accordo con i creditori sia tutt’altro che vicino.

Maduro verso la rielezione senza oppositori reali

In effetti, il miglioramento delle condizioni economiche in Venezuela rischia di essere una breve parentesi. La Casa Bianca minaccia il ripristino delle sanzioni nel caso in cui fosse impedito alla leader dell’opposizione, Maria Corina Machado, di correre per le elezioni presidenziali di quest’anno. Nel frattempo, un procuratore è stato arrestato con l’accusa di tramare contro il governo. Le opposizioni protestano e una delegazione diplomatica norvegese cerca di mediare tra le parti dopo l’Accordo delle Barbados di ottobre.

Maduro si fa forte delle tensioni internazionali. E’ consapevole che gli Stati Uniti non possono permettersi che l’offerta globale di petrolio scenda, data la politica restrittiva dell’Opec e lo scontro in corso con l’Iran e la Russia. Anche Biden è sotto elezioni e rischia la bocciatura, per cui deve fare il possibile per tenere le quotazioni sotto controllo e impedire che il gallone alla pompa rincari. Ma non può spingersi fino a giustificare il paradosso di combattere un regime – quello di Mosca – avvalendosi della collaborazione di un altro ancora più spietato.

Venezuela più forte con le tensioni internazionali

Dopodiché, a fronte di una media di 695 mila barili al giorno esportati, il 65% va a finire in Cina.

Pechino non ha mai interrotto le relazioni commerciali con Caracas. Il problema delle sanzioni americane risiede anche nella loro scarsa implementazione. C’è un’area del mondo che da tempo inizia ad ignorare le misure occidentali, consapevole della propria forza economica. Se non alla luce del sole, molti scambi avvengono attraverso escamotage come il trasferimento dei carichi da nave a nave in pieno oceano. Lo rivelano le immagini dei satelliti. E così, ad esempio, il Venezuela vende agli Emirati Arabi Uniti, che a loro volta possono esportare legalmente ovunque. Nessuno sa niente o finge di non capire da dove arrivi il greggio acquistato. E i petrodollari possono affluire in Sud America, in barba a Washington.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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