Inflazione e debito sono due tra le principali preoccupazioni degli italiani. E si tengono assieme. Nei giorni scorsi abbiamo appreso che lo stock delle passività dello stato è salito per la prima volta sopra i 3.000 miliardi di euro. Ci sono voluti solamente 12 anni per lievitare di 1.000 miliardi. Se la cifra in sé ci fa paura, le cose per nostra fortuna stanno messe meglio di quanto pensiamo in rapporto al Pil. Questi resta elevato, senza dubbio. Tuttavia, si è stabilizzato. Anzi, siamo l’unica grande economia mondiale ad avere registrato un rapporto stabile negli ultimi cinque anni, quelli che abbracciano il Covid.
Dati macro italiani nell’ultimo decennio
Non disponiamo ancora dei dati finali per il 2024.
Le stime parlano di un Pil nominale sui 2.200 miliardi e un debito pubblico appena sotto i 3.000 miliardi (a dicembre si registra una consueta discesa rispetto ai mesi immediatamente precedenti). Tenuto conto di questi dati, otteniamo che il Pil nominale in 5 anni è cresciuto del 22%. Il debito è salito, invece, del 24%. Il rapporto tra debito e Pil dovrebbe essere aumentato nel quinquennio 2019-2024 solamente del 2% a poco meno del 136%.
Cos’è successo? Il debito è sì cresciuto di circa un quarto, ma anche il Pil. Ma quest’ultimo non è aumentato così tanto grazie a una vigorosa crescita economica. Essa è stata di appena il 5,3%. La vera differenza l’ha fatta il deflatore del Pil. Senza voler entrare nei dettagli, in buona sostanza è stata l’inflazione ad avere “gonfiato” il Pil con quel 17%. Essa ha inciso per il 77% dell’intera crescita nominale. E “grazie” all’inflazione, il debito è rimasto sostanzialmente stabile rispetto al Pil.
A titolo di confronto, verifichiamo cos’era accaduto nel quinquennio precedente tra il 2014 e il 2019. Il Pil era salito del 10,3%, mentre il debito del 9,5%. Il rapporto debito/Pil era diminuito dell’1%.
La crescita reale era stata del 5%, appena meno del +5,3% messo a segno dal deflatore. In pratica, l’inflazione nel periodo aveva inciso per circa la metà dell’intera crescita nominale.
Inflazione e debito non vanno proprio d’accordo
Dunque, inflazione positiva per il debito? In apparenza sembra così. Non è un mistero che i governi di tutto il mondo guardino positivamente a un po’ di crescita dei prezzi al consumo per gonfiare le entrate fiscali e le dimensioni del Pil nominale. Questo fa scendere il grado di indebitamento pubblico. Esiste, però, l’altra faccia della medaglia. Se il mercato incorpora aspettative d’inflazione più alte, reclamerà rendimenti maggiori per i titoli di stato. E ciò è avvenuto in questi anni. Il BTp a 10 anni con l’inflazione a zero era arrivato ad offrire poco più dello 0,50%. Nell’ottobre del 2023 toccava il 5%. Ancora oggi rende il 3,60% con un’inflazione nel frattempo scesa a poco più dell’1%.
La spesa per interessi lievita e ciò innalza tendenzialmente il rapporto debito/Pil, a meno di aumentare l’avanzo primario. Ciò comporta, però, il taglio della spesa pubblica e/o l’aumento delle entrate. In conclusione, l’inflazione per il debito è un toccasana passeggero. Alla lunga rischia di far salire i rendimenti reali, un fatto che incide negativamente sulla stabilità fiscale di uno stato.