Alle elezioni federali del settembre 2021 presero il 10,5%, in calo rispetto a quattro anni prima. Adesso nei sondaggi volano al secondo posto con il doppio dei consensi ottenuti meno di due anni fa. Alternativa per la Germania (AfD) crea scompiglio per le sue posizioni euro-scettiche e contrarie all’immigrazione incontrollata. Minaccia lo status quo politico con le sue primissime vittorie ottenute in piccole realtà dei Laender orientali. Nell’ex DDR primeggia, riuscendo a scavalcare persino l’Unione cristiano-democratica. Per capire le ragioni del suo successo dobbiamo considerare l’effetto nostalgia, che in Germania è sempre più forte in tempi di alta inflazione come questi.
L’Italia è da molti anni considerato un paese euro-scettico per le posizioni espresse dai partiti che godono della maggioranza assoluta dei consensi, se sommati tra loro. Tuttavia, l’euro-scetticismo a Roma non è una vera nostalgia verso i tempi (duri) della liretta italiana, bensì una forma di rabbia contro le politiche dell’Unione Europea, percepite come vessatorie nei confronti del nostro interesse nazionale. In Germania la musica è da sempre diversa. Berlino è leader di fatto delle istituzioni comunitarie e non lascia mai trasparire ufficialmente all’esterno posizioni dubbie sul suo sostegno a Bruxelles. Ma il sentire comune è differente. Fosse per i tedeschi, tornerebbero al marco tedesco anche oggi.
Ascesa AfD contro BCE di Draghi
La crisi del debiti sovrani esplosa nel Sud Europa e in Irlanda dal 2010 confermò le paure dei tedeschi. Per un decennio abbondante sembrò che l’euro avrebbe garantito loro la stessa tutela dall’inflazione e dall’instabilità dei cambi del glorioso marco tedesco. Le certezze svanirono tutte ad un tratto, specie quando la Banca Centrale Europea (BCE) dovette intervenire per impedire l’uscita dall’euro di paesi come Italia e Spagna, oltre che della Grecia. Iniziarono gli anni dei tassi a zero prima e negativi dopo.
L’ex governatore Mario Draghi fu tacciato di essere un “assassino” dei risparmiatori tedeschi. La sua politica dei tassi a zero finì per privarli di opportunità d’investimento proficue. Ma la grande paura è arrivata solo nell’ultimo anno con l’inflazione alle stelle. I livelli raggiunti, a causa della crisi del gas, sono stati i più alti dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Oltre che cornuti, anche mazziati. I tedeschi si sono scoperti indifesi contro la perdita del potere di acquisto. A differenza degli anni Settanta, non possono fare affidamento sulla Bundesbank. Allora, essa fu un faro e impedì che accadesse in Germania quanto stesse verificandosi nel resto dell’Occidente. La BCE non è la Bundesbank. Non può alzare i tassi d’interesse come avrebbe fatto nelle medesime condizioni la banca centrale tedesca. Deve tenere conto delle opinioni e degli interessi del solito Sud Europa.
La rabbia tra la popolazione cresce, paradossalmente proprio quando la BCE sta cercando di normalizzare la politica monetaria dopo un lungo decennio di abbandono dell’ortodossia. Non sta bastando a riportare la stabilità dei prezzi. Questi crescono ancora sopra il 6% e la sensazione è che i buoi siano scappati dalla stalla. La nostalgia per il marco tedesco si diffonde con l’alta inflazione in Germania. E ne approfitta l’AfD, partito nato nel 2013 proprio contro la politica monetaria della BCE. Da questo punto di vista, inattaccabile agli occhi di una parte considerevole dell’elettorato. Tanto che negli anni clou dell’accomodamento monetario, l’allora ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, ebbe a dire che a far crescere i consensi per l’AfD fosse Draghi.
Inflazione Germania più bassa con marco tedesco
La nostalgia può essere considerato un sentimento irrazionale, ma nello specifico avrebbe motivazioni più che fondate. Se la Germania tornasse al marco tedesco, avrebbe una moneta nazionale molto più forte dell’euro. E ciò aiuterebbe i consumatori a comprare a prezzi più bassi. In un solo colpo, il problema dell’inflazione sparirebbe. Di quanto sarebbe il marco tedesco più forte dell’euro? Possiamo azzardare una previsione. Dopo il 1998, cioè da quando la moneta unica ha rimpiazzato le monete nazionali, l’inflazione in Germania è stata del 55% cumulato. Negli Stati Uniti, nello stesso periodo è stata dell’87% e nell’Area Euro (Germania inclusa) del 70%.
In teoria, se si fosse tenuta il marco tedesco la Germania avrebbe oggi un cambio rivalutato contro il dollaro di oltre il 30%. Ad occhio e croce, l’euro-marco varrebbe sopra 1,50, mentre oggi il cambio euro-dollaro si trova sotto 1,10. I tedeschi avrebbero in tasca una moneta più forte di circa il 30% rispetto ad oggi. Potrebbe essere una stima prudenziale. Con la Bundesbank in piena attività, i capitali si sposterebbe dal resto d’Europa alla Germania, confidando in una politica monetaria intenta a perseguire senza fronzoli la stabilità dei prezzi a colpi di tassi d’interesse. Mettiamoci anche un po’ di panico per l’eventuale fine dell’euro. Il marco tedesco di nuovo conio diverrebbe un “safe asset“ da tenere in tasca per ogni evenienza. Nessuna sorpresa se l’euro-marco valesse fino a 2 contro il dollaro.
Certo, un cambio molto più forte creerebbe qualche problema alle esportazioni. Ma per i tedeschi la priorità è sempre il mantenimento della stabilità dei prezzi. Più che la prospettiva di una bassa crescita economica è l’inflazione in Germania il vero spauracchio. E l’afflusso dei capitali dal resto di quella che sarebbe ormai l’ex Eurozona riuscirebbe forse ad innescare un nuovo ciclo di crescita. Insomma, il boom dell’AfD è qualcosa che va visto per quello che è, ossia la consapevolezza di una parte crescente degli elettori che senza il peso degli alleati, dell’euro e di Bruxelles la Germania sarebbe un’economia più solida e meno esposta ai rischi esterni.