Sembrava che l’avessimo scampata, invece sul più bello è tornata la paura dell’inflazione. E non irrazionalmente. Ieri, gli Stati Uniti hanno reso noti i dati di gennaio sul Personal Consumption Expenditure (PCE), il principale indicatore tenuto in considerazione dalla Federal Reserve per monitorare l’andamento dei prezzi al consumo. La crescita mensile è stata dello 0,6%, in nettissima accelerazione dallo 0,1% di dicembre. Su base annua, +5,4% dal +5% del mese precedente. Neppure il dato “core” ha offerto conforto. Al netto degli alimentari e dell’energia, l’indice ha segnato un rialzo del 4,7% annuale, in accelerazione anch’esso dal 4,6% di dicembre, e dello 0,6% mensile dal +0,3%.
Già il dato più noto sull’inflazione americana a gennaio aveva tradito le aspettative: in calo solo al 6,4% dal 6,5% di dicembre. Com’è possibile, dopo che nei mesi precedenti sembrava che la discesa dovesse essere rapida? Forse, ci aiutano a capire meglio la situazione altri dati. La spesa delle famiglie americane si è impennata a gennaio del 7,9% annuo e dell’1,8% mensile. Il reddito è salito anch’esso del 6,4% annuo e dello 0,6% mensile. In entrambi i casi, i dati sono risultati in accelerazione.
Anche in Europa prezzi restano alti
Dunque, l’inflazione nella prima economia mondiale non starebbe scendendo e, anzi, starebbe risalendo come conseguenza della crescita. Le cose andrebbero così troppo bene, che i prezzi al consumo si mantengono alti. Poiché la situazione nell’Area Euro si rivela meno florida, pericolo per noi scampato? Non proprio. Sempre a gennaio, l’indice dei prezzi Eurostat segnava una discesa dal 9,2% all’8,6%, deludendo anche in questo caso le aspettative. Il dato “core” è salito al 5,3% dal 5,2%. Non mostra di smettere di crescere.
Cosa sta accadendo in Europa? Da noi, l’inflazione è stata trainata essenzialmente dalla crisi energetica. I prezzi di petrolio e gas erano esplosi nel corso del 2022, perlopiù a seguito della guerra tra Russia e Ucraina e la conseguente necessità del continente di allentare la sua dipendenza energetica dalla prima.
Tuttavia, ora gli effetti dell’inflazione si sono travasati sul resto del paniere. Il caro bollette ha aumentato i costi di produzione, trasporto e della vita in generale. Ciò spinge le imprese ad alzare i prezzi per recuperare i margini di profitto perduti e i lavoratori a pretendere salari più alti per non soccombere al carovita patito nell’ultimo anno. Se è vero che le aspettative d’inflazione, come segnala il mercato obbligazionario, non si siano disancorate dall’obiettivo del 2% perseguito da tutte le principali banche centrali, d’altra parte il potere di acquisto perso nel 2022 va in qualche modo recuperato. E ciò starebbe contribuendo ad innalzare il costo del lavoro e i prezzi al consumo.
Recessione per battere inflazione?
Qual è il punto? Federal Reserve e BCE pensavano fino a poche settimane fa che sarebbero riuscite a sconfiggere l’inflazione senza strozzare le rispettive economie. Si stanno accorgendo che le probabilità di successo in tal senso siano più basse delle loro previsioni. In altre parole, corriamo il rischio che l’economia debba essere portata anche solo leggermente in recessione per rendere possibile una discesa dell’inflazione attorno al target del 2%. Una crisi guidata ridurrebbe la domanda di beni e servizi e “sgonfierebbe” i prezzi.
Questo spiega perché lo spread tra BTp e Bund sia risalito a 190 punti e i rendimenti nell’Eurozona stiano toccando i massimi da un decennio a questa parte. Il Bund a 10 anni offriva ieri il 2,56%, livello record dal 2011.