Per le pensioni dei preti servono più soldi. La contribuzione annuale dovuta al fondo di previdenza del clero gestito dall’Inps cresce infatti del 1,1%. A stabilirlo è un decreto interministeriale del 23 luglio 2020 pubblicato in gazzetta ufficiale lo scorso 8 ottobre.
La contribuzione è retroattiva e decorre dal 1 gennaio 2019. Passa da 1.741,08 euro all’anno a 1.760,24 annui, pari a 146,68 euro mensili. Non si tratta di una novità, poiché l’adeguamento dei contributi dovuti al fondo clero è regolato dalla legge che impone l’aggiornamento biennale in base al carovita e all’aumento delle pensioni.
Pensione dei preti: gli aumenti contributivi
I preti e i sacerdoti iscritti al fondo dovranno quindi effettuare i relativi conguagli rispetto a quanto già trattenuto in via provvisoria dall’Inps. Ma a quanto ammonta la differenza? Considerato che, relativamente al 2019 e al 2020 è stato versato un contributo di 1.741,08 euro gli iscritti dovranno conguagliare 19,16 euro annui (1,59 al mese) sulla contribuzione dovuta tra il 1° gennaio 2019 ed il 31 dicembre 2020. Come recita il decreto di cui sopra
Il contributo a carico degli iscritti al Fondo di previdenza del clero e dei ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica, e’ aumentato, a decorrere dal 1° gennaio 2019, da euro 1.741,08 annui a euro 1.760,24 annui.
A tal proposito, sta per uscire una circolare Inps che stabilirà le modalità di pagamento.
Come funzionano i versamenti
La gestione delle pensioni dei preti e sacerdoti iscritti al fondo clero non funziona come per le normali gestioni pensionistiche. Così come il sistema di calcolo della pensione. I versamenti annuali sono effettuati in misura fissa e non a percentuale in base alla retribuzione.
La pensione è di conseguenza in misura fissa. Essa è costituita da un assegno base, pari all’importo del trattamento minimo (515,58 euro nel 2020) a cui si aggiunge una maggiorazione annualmente stabilita dall’Inps, pari a 5,94 euro per le pensioni aventi decorrenza nel 2020. Ma anche per ogni anno di contribuzione eccedente il ventesimo e per ogni anno di ulteriore contribuzione rispetto alla data di maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia, cioè attualmente oltre i 69 anni.
La pensione dei preti
Inizialmente, da quando è stato costituito il fondo clero nel 1973, la pensione di vecchiaia per i preti era prevista al raggiungimento di 65 anni di età e almeno 10 anni di contributi. Poi, a partire dal 2000, è stata stabilita la progressiva elevazione dell’età anagrafica a 68 anni, in ragione di un anno ogni diciotto mesi. Il requisito minimo contributivo è stato quindi elevato a 20 anni.
La legge ha confermato, inoltre, l’età anagrafica di 65 anni per i soggetti che possano far valere un’anzianità contributiva pari o superiore a 40 anni. Pertanto, dal 1 luglio 2013 la pensione di vecchiaia dei preti può essere richiesta al compimento di 68 anni di età con almeno 20 anni di contributi o al compimento di 65 anni, qualora si possa far valere un’anzianità contributiva di 40 anni.
Per effetto del meccanismo di adeguamento dei requisiti di accesso al pensionamento alla speranza di vita, esteso al fondo clero dalla legge 122/2010, i requisiti anagrafici di 68 e 65 anni sono incrementati di tre mesi dal 1 gennaio 2013 al 2015 e di ulteriori 4 mesi a partire dal 1 gennaio 2016.
Fondo clero, buco da oltre 2 miliardi di euro
Le pensioni dei preti non sono state interessate dalla riforma Fornero del 2011. Tuttavia il fondo clero è in perdita da sempre e lo Stato ogni anno versa milioni di euro per rabboccarlo per pagare le pensioni di oltre 14 mila sacerdoti. Nonostante il rapporto fra assicurati e pensionati sia costantemente superiore a 1,45.
In altre parole il fondo opera in deficit. Questo perché il sistema di calcolo delle pensioni non è né retributivo, né contributivo e/o misto bensì a prestazioni definite in somma fissa. Il fondo prevede infatti una misura minima per tutte le pensioni che eroga, corrispondente al trattamento minimo dell’assicurazione generale obbligatoria.