La forte inflazione degli ultimi due anni ha colpito tutti, lavoratoti dipendenti, pensionati, imprese, ecc. La situazione si è fatta ancora più complicata per chi percepisce una pensione minima. A tal proposito, la legge italiana prevede per chi ha ha una pensione pari o al di sotto del trattamento minimo di poter ottenere una specifica integrazione.
Parliamo sempre di pochi spiccioli, tant’è vero che si discute se è meglio la pensione minima o l’assegno sociale. Il trattamento minimo nel 2023 è pari a 563,64 euro.
Una volta ottenuta l’integrazione al trattamento minimo, è lecito chiedersi se un eventuale superamento dei limiti reddituali previsti dalla legge, possa far perdere l’integrazione.
Prima di rispondere alla domanda che ci siamo posti, partiamo dalle recenti novità previste in materia di integrazione al trattamento minimo.
L’integrazione al trattamento minimo. Ultime novità
La legge di Bilancio 2023 (legge 197/2022 art. 1 comma 310) ha previsto un incremento straordinario per gli anni 2023 e 2024 per le pensioni di importo pari o inferiore al trattamento minimo.
In particolare, come da messaggio INPS 2329, per l‘anno 2023, l’incremento è pari:
- all’1,5% per i soggetti infra75enni;
- al 6,4% per i soggetti ultra75enni.
Per l’anno 2024, l’incremento è pari al 2,7% senza distinzione di età.
Nel complesso, in riferimento al 2023, l’incremento massimo mensile per i pensionati entro 75 anni di età è pari a 8,46 euro, mentre per i pensionati con oltre 75 anni l’importo massimo è di 36,08 euro. Il pensionato che compie 75 anni nel corso del 2023 otterrà l’incremento superiore dal mese successivo al compimento dell’età.
Ciò significa che il trattamento minimo delle pensioni INPS per gli under 75 anni è pari a 572,20 euro al mese per tredici mensilità. Per gli over 75 invece il trattamento minimo per 13 mesi è pari a 599,82 euro al mese.
Integrazione al minimo: l’accredito extra resta anche se la pensione aumenta?
In premessa ci siamo chiesti se una volta ottenuto il diritto all’integrazione al minimo, il superamento dei limiti reddituali previsti ai fini della stessa integrazione, possa far venire meno la spettanza del trattamento minimo.
A tal proposito, entrano in gioco le disposizioni di cui all’art.6, comma 7 della D.L. 463 del 1983.
L’importo erogato alla data della cessazione del diritto all’integrazione viene conservato fino al suo superamento per effetto dell’applicazione delle disposizioni di cui al comma 5 dell’importo determinato ai sensi del comma 6.
Ciò sta a a significare che il limite di reddito da rispettare per il riconoscimento dell’integrazione al trattamento minimo è valutato solo in fase di riconoscimento dello stessa.
Dunque, è corretto parlare di cristallizzazione del diritto all’integrazione alla pensione minima. Nei fatti, se si superano i limiti reddituali, il rateo non sarà più adeguato all’inflazione ma si continuerà a percepire l’importo riconosciuto al momento della cessazione del diritto. Ciò fin quando l’importo dell’assegno, come da rivalutazione annua della pensione, non superi il valore rilevato al momento della cristallizzazione.
Tale meccanismo è finalizzato ad offrire un salvagente al pensionato che in caso di morte del coniuge e di percezione di pensione ai superstiti, potrebbe superare i limiti reddituali che danno diritto al trattamento minimo.
A ogni modo, per verificare dal sito dell’INPS l’attivazione del meccanismo in parola, è possibile scaricare il certificato di pensione che riporterà la dicitura “La pensione è integrata al trattamento minimo cristallizzato in via provvisoria, in attesa della verifica della Sua situazione reddituale.”
Riassumendo…
- Il diritto all’integrazione alla pensione minima è legata ad alcuni limiti reddituali;
- il limite di reddito rileva solo in fase di riconoscimento del diritto all’integrazione;
- è corretto parlare di cristallizzazione del diritto all’integrazione alla pensione minima.