Negli ultimi tempi si sente un gran parlare di pensioni minime, integrazioni al trattamento minimo, perequazione. E poi si parla di incremento a 600 euro per gli over 75, che poi diventerebbero 700 nel 2024 e forse 1.000 in futuro. L’integrazione al trattamento minimo per definizione è l’incremento delle prestazioni concesso a determinati pensionati che per importo delle pensione sono al di sotto di una determinata soglia prevista dall’INPS annualmente. Ma solo per i pensionati che, a volte senza e a volte con il coniuge, rientrano in determinati requisiti reddituali.
“Salve, sono una pensionata con un assegno di pensione da 480 euro al mese. Sento sempre dire di pensioni minime in salita, ma io, come si vede dal mio assegno, prendo una pensione inferire perfino al vecchio milione di lire che una volta il Governo inserì. Dopo un colloquio con il mio patronato, mi hanno detto che è praticamente inutile presentare istanze all’INPS chiedendo un incremento. Perché la mia pensione, essendo contributiva, non ha diritto all’integrazione al trattamento minimo. Ma cosa significa questo? Che sono l’unica a non avere diritto ad aumenti?”
Integrazione al trattamento minimo: ecco quando la pensione gode degli aumenti e quando invece no
Le pensioni liquidate con il sistema retributivo o col sistema misto, cioè con carriera iniziata prima del 1996, sono quelle che possono godere dell’integrazione al trattamento minimo INPS. Le pensioni liquidate interamente con il sistema contributivo invece, non hanno diritto a questa integrazione. Naturalmente anche i misti per poter godere di questa agevolazione sull’importo della prestazione devono rispettare determinate condizioni di reddito. La nostra lettrice probabilmente non ha diritto all’integrazione, perché ha iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995.
Le pensioni retributive o miste invece vengono integrate al trattamento minimo quando il loro importo è inferiore allo stesso e quando il pensionato ha determinati redditi. Parliamo di redditi assoggettati ad IRPEF naturalmente. Quindi, non si considerano nei redditi, oltre all’importo della pensione che andrebbe ad essere integrata, anche il reddito della prima casa dove risiede il pensionato, gli eventuali TFR, i redditi assoggettati a tassazione separata.
Le soglie reddituali per godere dell’integrazione al trattamento minino INPS
Prima si considerano i redditi del titolare del trattamento, e poi anche quelli del coniuge se presente. Va detto che l’importo 2023 del trattamento minimo pensioni INPS è pari a 563,74 euro al mese. I limiti di reddito da rispettare per avere diritto all’integrazione sono differenti in base alla data di decorrenza della pensione. Per esempio, i pensionati il cui trattamento pensionistico ha visto i natali prima del 1° febbraio 1994, sono salvaguardati dal fatto che per loro i redditi del coniuge non contano. L’integrazione può spettare per intero o in misura parziale sempre in base ai redditi.
Fondamentale anche la decorrenza della pensione
Per le pensioni con decorrenza fino al 31 gennaio 1994, integrazione piena con redditi fino alla soglia di 7.328,62 euro annui (solo redditi personali). Oppure integrazione parziale per redditi sopra 7.328,62 euro e fino a 14.657,24 euro. Oltre questa soglia niente integrazione. Per le pensioni liquidate dal 1° febbraio 1994 al 31 dicembre dello stesso anno invece, integrazione piena con redditi personali fino a 7.328,62 euro e coniugali fino a 29.314,48 euro. Pensione integrata al trattamento minimo in maniera ridotta invece per i titolari di redditi personali sopra quelle somme prima citate. E fino a 14.657,24 e 36.643,48 euro annui, rispettivamente per singoli e coniugati.