Laureato con lode in Ingegneria Elettronica e Dottore di Ricerca in Ingegneria Elettronica ed Informatica, il professor Massimo De Santo, attualmente è ordinario di Informatica presso l’Università degli Studi di Salerno, dove insegna Reti di Calcolatori e Sicurezza delle Reti presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale. Dirige il Centro ICT di Ateneo per i Beni Culturali dell’Università di Salerno. Appassionato di Fantascienza & Fantasy, è un osservatore curioso dell’impatto di Internet sulla società contemporanea, come testimoniato dalla sua partecipazione come co-fondatore a Digitalia.
“Uno, nessuno, ChatGpt” nasce dall’incontro tra un’esperienza di osservazione sull’impatto della realtà delle tecnologie digitali relativamente alla realtà italiana, quella del Podcast Digitalia.fm di cui faccio parte, che ha sempre avuto questo occhio curioso su cosa succede quando una tecnologia digitale diventa pervasiva, diventa importante nella nostra vita.
Con degli altri amici che sono diventati poi coautori del libro, avevano prestato massima attenzione su quelle che sono le conseguenze squisitamente sociali. Da questa curiosità reciproca è nata l’idea di scrivere questo libro su questo fenomeno che ha veramente una velocità esponenziale di diffusione. Il libro è stato scritto tra marzo e maggio 2023, uscito nel luglio dello stesso anno, mentre la rivoluzione ChatGPT è del dicembre 2022 sostanzialmente, quindi l’idea è stata quella di dire: vediamo qualcosa che si sta diffondendo in una maniera così veloce che spiazzerà i più.
Proviamo a dare qualche coordinata di riferimento, grazie al fatto che abbiamo delle esperienze da poter riportare. E quindi questo testo nasce da questo incontro, ed è scritto a cinque voci dove c’è un contributo più tecnologico nel tentativo di far capire quali sono i meccanismi di base, e poi ci sono i punti di vista economico, psicologico e sociale che secondo noi vanno tenuti d’occhio in questa rapidissima evoluzione di questi strumenti generativi Ai”.
Professor De Santo, come secondo lei la comunità scientifica italiana può competere a livello mondiale su quelle che sono le nuove sfide lanciate dall’Ai?
La comunità scientifica italiana di cui mi onoro di farne parte, quindi il mio giudizio è un po’ di parte, è sempre stata all’interno dello scenario mondiale dell’intelligenza artificiale, dal punto di vista del contributo teorico e della capacità di introdurre innovazione. Non a caso molte delle ricerche sull’intelligenza artificiale, la stessa idea delle reti neurali nascono sostanzialmente in Italia, però fanno parte di questo grande patrimonio della comunità internazionale.
Certamente il discorso sull’intelligenza artificiale fa anche i conti con alcune scelte industriali, dove evidentemente non solo l’Italia ma l’Europa fa fatica a competere. I grandi colossi americani e cinesi, che oggi dominano lo scenario mondiale delle ricerche e delle applicazioni dell’intelligenza artificiale, usufruiscono di una struttura e di una larghezza di mezzi con la quale noi come Italia non possiamo neanche pensare di confrontarci, mentre come Europa dobbiamo fare ancora un grosso sforzo.
Come la rete ha imparato a conoscerci e cosa l’utente deve sapere per evitare problemi?
Io mi occupo di reti di calcolatori ormai da 40 anni, dalla mia tesi di laurea nel 1984, e devo dire che anche qui è stata una progressione esponenziale. Oggi quando diciamo come la rete ha imparato a conoscerci stiamo mettendo insieme due diversi fattori, da un lato il fenomeno internet che ha significato l’interconnessione pervasiva, ubiqua, di ciascuno di noi con tutte queste risorse di calcolo, con questi dispositivi in grado di elaborare queste informazioni.
La prima cosa è la coscienza, sapere che è così. Questa cosa c’è stata nascosta inizialmente, un po’ anche dall’entusiasmo con il quale abbiamo abbracciato queste comodità. Basta solo pensare che con un calcolatore che ci portiamo in tasca possiamo controllare gli orari dell’autobus, comprare un biglietto del treno o dell’aereo. Era troppo bello, ma soprattutto era troppo bello che fosse gratis. Ci siamo cascati in pieno. Prendere coscienza che servizi di questo genere non possono reggersi in maniera gratuita, e quindi scegliere tra pagarli in maniera tradizionale o pagarli dando in cambio le nostre informazioni, su cui però dobbiamo mantenere il controllo. Questa cosa è venuta all’attenzione anche troppo lentamente del legislatore europeo ed italiano e qualcosa sta cambiando, ma la prima cosa è la coscienza che noi dobbiamo avere.
Alla luce di quello che ha detto fino a questo momento, secondo lei possiamo dire che oggi l’universo è dominato dagli algoritmi?
La domanda formulata così mi fa sorridere perché sono un grande appassionato di fantascienza. Ci sono vari libri bellissimi che ragionano su questi concetti, anche se in realtà è una tematica trattata in maniera seria anche dalla comunità scientifica, ovvero quella di capire il confine tra quello che è programmabile…perché l’algoritmo in pratica che cosa è? Una ricetta che dà un insieme di istruzioni per fare qualcosa. Quando diciamo algoritmi, intendiamo qualche cosa che è stato rigidamente programmato. A noi come esseri umani piace pensare che non sia tutto così, che il nostro non sia un universo meccanicistico. Ci sono state anche delle correnti filosofiche importanti che hanno teorizzato tutto questo.
C’è una citazione che dice: “Se potessi conoscere tutte le condizioni al contorno e tutte le leggi che governano l’universo, potrei prevedere qualunque evento”.
Dalla rivoluzione digitale agli LLM, passando per l’intelligenza artificiale: cosa bisogna ancora aspettarsi nell’immediato?
Qui ci vuole la sfera di cristallo. Approfittiamo per precisare un po’ lo scenario. La rivoluzione digitale è legata a due cose, da un lato alla capacità di costruire dei calcolatori elettronici sempre più piccoli, più economici e che consumino sempre meno; dall’altro dalla diffusione della rete. Questa è la rivoluzione digitale, che con i servizi di cui parlavamo in precedenza, ha un po’ cambiato la vita di tutti.
I Large Language Model, invece, sono una parte delle tecnologie che vanno sotto questo grande cappello che si chiama intelligenza artificiale, che anche qui è bene capire che al di là della scoperta che ne hanno fatto i media, in realtà raggruppa un filone di ricerche, di metodi e tecniche che non è affatto contemporaneo. Sono ricerche nate, se non nell’immediato dopo guerra insieme al calcolatore elettronico, sicuramente negli anni 70-80 del secolo scorso. Attualmente siamo in un momento magico di confluenza della capacità hardware di questi dispositivi, che possono mettere in esecuzione queste tecnologie con delle idee teoriche che sono abbastanza datate nel tempo.
Quello che possiamo aspettarci, ma non credo nel brevissimo periodo, è un’altra rivoluzione. Qualcuno che faccia delle cose in maniera diversa da come facciamo oggi con reti neurali, che sono tutte cose nate più di 40 anni fa, ma che oggi sono sorprendentemente efficaci perché nelle nostre mani abbiamo uno smartphone che è un calcolatore diecimila volte più potente di quello che ha portato l’uomo sulla luna, anche se non ne abbiamo contezza e facciamo finta che sia banale.
Come vede il futuro dell’informatica italiana e quali progetti attualmente sta portando avanti?
“Per quel che riguarda i progetti attualmente in cantiere mi sto occupando di due cose, rimanendo legati al mondo dell’intelligenza artificiale. Uno ha interessanti risvolti sull’educazione, sia per quel che concerne le modalità di apprendimento, sia come al servizio dell’educatore. L’altro settore di cui mi occupo da sempre è quello legato alle reti di computer. Nello specifico, questo progetto, si occupa di sensoristica nell’ambiente, che poi ci consente di sviluppare dei servizi ancora più avanzati di supporto alle decisioni, di prevenzione e manutenzione, predittiva di dispositivi di qualunque genere.
Tutto questo si lega anche al futuro dell’informatica italiana, che spero sia sempre più roseo, perché è una comunità di cui faccio parte e che nel corso di questi 35 anni della mia carriera è sempre cresciuta ed ha sempre mantenuto una posizione di piena parità di diritti e contributi nello scenario mondiale. Come ricercatori siamo stimati ben valutati e ben inseriti nel contesto mondiale.
Quello che mi auguro è una maggiore crescita dell’infrastruttura anche industriale, cosa che deve necessariamente accadere nel contesto europeo. Quello che ci possiamo aspettare? Qui ci sono sempre le due visioni, quella utopistica e quella pessimistica. Come dicevo in precedenza sono un grande appassionato di fantascienza, quindi li ci sono entrambe i filoni. Quella utopistica è dove ci sono tutte queste tecnologie al servizio delle persone per migliorare la qualità della vita; dall’altro lato, invece, c’è il grande rischio non tanto di Terminator, dove in questo caso la rete di rivolta contro, ma che la stessa venga utilizzata male dalle persone.