Il futuro dell’Inter nelle mani di Carlo Cottarelli? L’ex dirigente del Fondo Monetario Internazionale e già commissario alla “spending review” è un noto tifoso nerazzurro. Qualche anno fa, insieme a un gruppo di tifosi illustri della squadra meneghina fondò Interspac, di cui è a capo. Si tratta di un progetto di azionariato popolare. Adesso, Cottarelli vuole passare dalle parole ai fatti, anche perché l’Inter ha sì vinto il suo primo scudetto dopo 11 anni, ma naviga in cattive acque finanziarie.
Ieri, Interspac ha lanciato un sondaggio online tra i tifosi nerazzurri per capire quale sia la loro opinione circa la nascita di una società ad azionariato popolare. Il piano è semplice e al contempo rivoluzionario: ciascun tifoso-sottoscrittore entrerebbe nel capitale dell’Inter, tramite Interspac, con una quota minima di 500 euro. Obiettivo: raccogliere 350-400 milioni di euro, pari a una quota del 30-40% dell’intero capitale. Secondo Forbes, la società varrebbe sui 750 milioni, per cui a Interspac basterebbe raccogliere 300 milioni per aggiudicarsi una quota del 40%.
L’Inter vanta una platea di tifosi tra Italia e all’estero di 16 milioni. Se una percentuale anche minima di essa partecipasse al progetto, la raccolta dei capitali proseguirebbe spedita e centrerebbe l’obiettivo. Ma chiaramente serve far conoscere l’idea dell’azionariato popolare e coinvolgere i tifosi senza tentazioni verticistiche. Il modello a cui s’ispira Cottarelli è quello tedesco, dove vige per tutte le squadre della Bundesliga la regola del 50%+1. Ciò significa semplicemente che la maggioranza assoluta del capitale debba essere nelle mani dei tifosi, cioè di soggetti individuali e non di singoli grandi soci.
Azionariato popolare conveniente o no?
Cottarelli ci tiene a precisare che l’investimento sia una tantum, esattamente come quando si acquistano le azioni di una qualsiasi società quotata in borsa. Non bisognerà, quindi, rinnovare la sottoscrizione ogni anno, anche se potrebbe essere richiesta una somma marginale per fare parte di Interspac. E in ciò si differenza dal modello Barcellona, dove annualmente i tifosi devono rinnovare la sottoscrizione: si parte da 185 euro per gli adulti e si arriva ai 44 euro per i bambini fino a 5 anni. Qui, i soci sono 223 mila e per quanto non sia il loro capitale a permettere alla squadra catalana di andare avanti sul mercato, essi posseggono poteri gestionali pregnanti, tra cui il diritto di voto per eleggere il presidente.
L’Inter sarà realisticamente una società ad azionariato popolare? E sarebbe un bene che lo fosse? Dipende chiaramente dalle intenzioni di Zhang. Se volesse abbandonare il calcio, quale migliore occasione di vendere la propria quota a una miriade di tifosi-azionisti? Se no, l’unica soluzione possibile sarebbe di fare entrare questi ultimi tramite un aumento di capitale, sempre che chiaramente il cinese lo consentisse. Quanto ai benefici di una simile formula, nessuna certezza. L’azionariato popolare ha l’indubbio pregio di stringere a sé il pubblico alla società. Non essendovi sceicchi o grossi azionisti in cerca di riflettori, i bilanci diverrebbero più assennati, come dimostra il modello tedesco, dove vigono, però, regole stringenti sui conti aziendali.
Ma l’azionariato popolare può diventare un limite nel momento in cui non consentisse alla società di disporre prontamente di abbondanti capitali in fasi cruciali. Prendiamo come metro di paragone la Juventus. Società dalla gestione oculata, eppure ha avuto bisogno a fine 2019 di una ricapitalizzazione da 300 milioni, a seguito del maxi-investimento realizzato per acquistare un anno prima Cristiano Ronaldo.