Ieri si è conclusa in Brasile una delle pagine politiche più tormentate della sua storia recente: la presidente Dilma Rousseff, rieletta nell’ottobre del 2014 per un secondo e ultimo mandato di 4 anni, è stata riconosciuta colpevole dal Senato di avere falsificato i conti pubblici di due anni fa e, pertanto, è stata ufficialmente rimossa dall’incarico. Al suo posto si è insediato adesso con tutti i poteri previsti dalla Costituzione il vice Michel Temer, che i mercati giudicano senz’altro migliore del predecessore e molto più incline alle ragioni del business.
Sin dall’inizio dell’anno, quando la crisi politica era in pieno vigore, gli investitori hanno iniziato a scontare il cambio della guardia alla presidenza, facendo impennare sia le azioni che le obbligazioni della prima economia sudamericana.
Rally azioni e bond Brasile da inizio anno
La Borsa di San Paolo è cresciuta del 36% quest’anno, mentre il mercato obbligazionario segna un rialzo del 28%. Considerando che nel frattempo il cambio tra real e dollaro si è rafforzato di oltre il 18%, si ottiene che un investitore, il quale all’inizio dell’anno abbia acquistato un pacchetto misto di azioni e obbligazioni brasiliane in valuta locale, oggi si porterebbe a casa un ritorno del 50%. Su base annua, il realizzo sarebbe prossimo all’85%.
Conviene chiedersi, a questo punto, se investire in Brasile resti ancora un’opzione allettante per chi sia a caccia di rendimento. Per rispondere a questo dubbio, consideriamo alcuni dati: delle 21 società con sede nei mercati emergenti, che nel corso di quest’anno hanno dichiarato default, 8 sono brasiliane. E secondo l’agenzia Stantard & Poor’s, il 60% delle società in Brasile potenzialmente corre il rischio di venire declassato.