Crisi Brasile non è finita
Affinché fosse possibile continuare a puntare sul Brasile, sarebbe necessario che l’economia del paese mostrasse segnali di inversione ad U dalla recessione in corso, cosa che non sta avvenendo.
E’ vero, però, che con il cambio di governo e presidenza a maggio si è diffuso sui mercati locali un clima di maggiore ottimismo sulla crescita, l’inflazione, i tassi e il cambio, ma non tali da autorizzare illusioni.
I tassi dovranno restare necessariamente elevati fino ad almeno tutto l’anno prossimo, dato che l’inflazione non mostra segnali evidenti di rallentamento. Il cambio si è rafforzato già abbastanza, ma più sulla fiducia di un cambio di regime politico, che per le azioni riformatrici del nuovo governo. Il deficit pubblico, oggi all’11%, difficilmente potrà scendere più di tanto nel breve periodo, dato che l’80% della spesa pubblica federale è vincolata e non comprimibile. Un sollievo ai conti pubblici potrebbe arrivare solo dalla discesa dei rendimenti sovrani, pari mediamente a circa 400 punti base rispetto al picco toccato tra la fine del 2015 e l’inizio di quest’anno.
Chi ha avuto coraggio a scommettere sul Brasile nei mesi scorsi, ha avuto anche ragione, come dimostrano senza dubbio i numeri. Ma pensare di replicare un simile boom appare un’operazione di ottimismo estremo. Non è nemmeno escluso, invece, che dopo il rally sia arrivato il momento di smaltire la sbornia. D’altronde, un detto in borsa dice “buy rumors, sell news” (“compra sulle attese e vendi sui fatti”).