L’italiano medio investe i risparmi in prodotti diversi dal conto deposito o il libretto postale, generalmente quando percepisce che questi gli offrano un flusso di reddito più o meno stabile nel tempo. Sappiamo che i BTp si prestano benissimo a operazioni del genere, essendo al contempo titoli sicuri, semplici da comprendere nel loro meccanismo e facilmente liquidabili all’occorrenza, sebbene le variazioni delle quotazioni prima della scadenza potrebbero infliggere perdite crescenti con la cosiddetta “duration”. Quest’ultima esprime la durata finanziaria di un titolo e praticamente ci fornisce il numero di anni entro cui l’investimento viene totalmente ripagato, dipendendo in misura direttamente proporzionale dalla durata residua e inversamente all’entità della cedola.
Lo strano BTp con maxi-cedola 8,5% e dai rendimenti choc
Dunque, semplificando al massimo, il risparmiatore-tipo investe in BTp attraverso due criteri: rendimento e possibilità di lucrare da un eventuale disinvestimento anticipato, realizzando le famose plusvalenze. Ci concentreremo adesso sul primo: esso è formalmente dato dalla somma tra la cedola annuale garantita (per facilità di ragionamento la supponiamo fissa) e la differenza tra prezzo di rimborso alla scadenza o di disinvestimento anticipato e prezzo di acquisto, suddivisa per il numero degli anni alla scadenza. (Approfondisci qui: Cedola o rendimento?)
Investire guardando più alla cedola
Tuttavia, quando si acquista un titolo a lunghissima durata, in pochi effettivamente puntano a detenerlo fino alla scadenza e rapportano il prezzo di acquisto a quello di rimborso. Il ragionamento compiuto risulta molto più elementare, ovvero fare il rapporto tra la cedola annuale e l’investimento effettuato, scommettendo sul fatto di riuscire a rivendere un giorno il bond comunque a un prezzo superiore. Prendiamo tre BTp a lunga scadenza: il 2038, il 2049 e il 2067. Perché questi e non altri? Perché grazie alla loro elevata duration, ben si prestano a sfruttare le variazioni positive delle quotazioni rispetto a eventuali cali dei rendimenti.
Il BTp 2038 offre cedola del 2,95% e fa oggi come prezzo 95,3. Se lo acquistassi, spenderei 95,3 e otterrei annualmente un reddito garantito lordo di 2,95, il 3,1% dell’investimento. Attenzione, ribadiamo che questo non è il rendimento formale, che è, invece, pari al 3,35% oggi. Il BTp 2038 offre cedola del 3,85% e ha prezzo di 104. Pertanto, investo 104 e ottengo 3,85% su 100, che rapportato al valore dell’investimento mi esita il 3,7%. Infine, il BTp 2067 offre cedola del 2,8% ed esibisce un prezzo di 84,9. Quanto mi rende, ragionando come sopra? Il 3,3%.
Investire in BTp e guadagnare a doppia cifra in pochi mesi, è appena successo
A conti fatti, a fronte di un rendimento formale del 3,67%, superiore al 3,58% del BTp 2049 e al 3,35% del 2038, il bond che mi renderebbe nell’immediato di più sarebbe il trentennale, quello che scade nel 2049. E rispetto agli altri due bond, esso espone a una via di mezzo sul fronte dei rischi e dei guadagni, perché nel caso in cui il rendimento scendesse dell’1%, il suo prezzo salirebbe di oltre il 18% contro il +24,2% del BTp 2067 e il +14,2% del BTp 2038. Viceversa, scenderebbero altrettanto con una crescita del rendimento dell’1%. Un buon compromesso, insomma, tra la necessità di ricavare flussi di reddito stabili e sicuri e la possibilità di guadagnare da una rivendita anticipata, vuoi per un fabbisogno di liquidità, vuoi per monetizzare gli eventuali guadagni. Non a caso, a volte capita che scadenze più brevi tendano ad esibire rendimenti superiori a quelli di scadenze un po’ più lunghe, quando queste ultime offrono cedola decisamente superiore; è il segno che l’investitore individuale spesso preferisca concentrarsi più sul rapporto tra cedola e prezzo investito.