Lunedì, il titolo Facebook ha toccato i suoi nuovi massimi storici a 355,64 dollari dopo che la Corte Distrettuale degli Stati Uniti ha respinto le denunce presentate dalla Federal Trade Commission e da 48 procuratori di stato con l’accusa di tendenza monopolistica ai danni del mercato. Adesso, la capitalizzazione del social in borsa è salita sopra i 1.000 miliardi di dollari, segnalando che investire in azioni alla lunga esita i suoi frutti.
Facebook è stato quotato al NASDAQ nel maggio del 2012. Pochi mesi dopo, il prezzo del titolo risultava dimezzatosi e molti analisti gridarono all’aborto in culla di una realtà, a loro dire, infruttifera.
Investire in azioni nel medio-lungo termine paga. Ma il rischio di sbagliare cavallo è sempre alto, per cui sarebbe meglio per un piccolo investitore affidarsi agli indici. Il NASDAQ è l’esempio clamoroso di come scommettere sulle nuove realtà possa gratificare il portafogli. In questi 40 anni di vita, ha messo a segno una performance straordinaria del +6.787%. In media, sarebbe come se il nostro investimento avesse esitato un rendimento annuale superiore all’11%. E in dollari. Teniamo conto che nell’estate del 1981, un dollaro acquistava 1.225 lire. Oggi, il cambio euro-dollaro si attesta a 1,19 e sapendo che un euro equivale a 1.936,27 lire italiane sin dalla fine del 1998, otteniamo che dal 1981 la rivalutazione valutaria sarebbe stata del 33%.
Investire in azioni, ecco i titoli del boom
Tirando le somme, se avessimo investito in azioni una somma in lire al NASDAQ di 40 anni fa, avremmo riportato ad oggi un rendimento medio annuo effettivo del 12%. In effetti, con il trascorrere degli anni l’indice americano si è arricchito di titoli sempre più redditizi.
Cosa hanno in comune questi titoli tecnologici? Al loro debutto, sono stati tutta una scommessa molto aleatoria. Pensate che a metà anni Novanta, Apple stesse per chiudere baracca. Amazon ha trascorso decenni prima di vedere un dollaro di utile, così come Netflix. Ad un certo punto, molti investitori si sono chiesti se fossero azioni “spazzatura” senza prospettive. Ma la tenacia è stata premiata. E il NASDAQ ha potuto fare impennare i capitali investiti negli anni. Per un italiano, il rendimento medio del 12% sarebbe corrisposto a oltre 3 volte il tasso d’inflazione registrato nell’ultimo quarantennio, quest’ultimo pari al 3,6%.
In altre parole, chi nel 1981 avesse investito 1 milione delle vecchie lire nell’indice NASDAQ, oggi se ne ritroverebbe in portafoglio più di 110 milioni, che convertite nella moneta unica farebbero oltre 57.000 euro. E ciò, a fronte di una perdita del potere di acquisto molto, molto più bassa. Infatti, quel milione di 40 anni fa corrisponderebbe a circa 4 milioni e 100 mila lire di oggi. Pazienza e sangue freddo, però, non sono caratteristiche che tutti possediamo o che tutti possiamo permetterci. In 40 anni, la borsa americana ha vissuto tre grandi crisi: nel 2000, riguardando proprio il comparto della “new economy”; tra il 2007 e il 2009, quando si temette un esito non dissimile dalla Grande Depressione successiva al 1929; nel 2020, a causa della pandemia. Molti hanno venduto in ciascuna di queste fasi e magari per il solo bisogno di liquidità, perdendo l’opportunità di cavalcare i successivi maxi-rialzi.