Non è un buon momento per i mercati emergenti, stretti tra colpi di coda della pandemia in Cina, tensioni geopolitiche legate alla guerra tra Russia e Ucraina e rialzo dei tassi d’interesse contro l’alta inflazione. Dagli inizi di febbraio, hanno perso in borsa oltre un quarto del loro valore. Ma in controtendenza troviamo il Brasile, che regala soddisfazioni agli investitori domestici e, ancora di più, a quelli stranieri. Se all’inizio dell’anno aveste investito nel Lyxor MSCI Brazil UCITS ETF A (ISIN: LU1900066207), oggi avreste guadagnato all’incirca il 37%.
Quest’anno, l’Ibovespa della Borsa di San Paolo è salito del 14%, a cui si aggiunge quasi il +17% messo a segno da real brasiliano contro l’euro. L’indice capitalizza adesso sui 1.090 miliardi di dollari, di cui una novantina grazie alla compagnia Petrobras. Praticamente, più del 30% di guadagno grazie alle azioni brasiliane. La prima economia sudamericana esce da un periodo per niente facile. E’ cresciuta del 4,6% nel 2021, recuperando del tutto le perdite accusate con la pandemia. Tuttavia, quest’anno il PIL dovrebbe aumentare solamente dell’1,5%. In effetti, già da inizio 2021 la banca centrale ha dovuto iniziare ad alzare i tassi d’interesse, portandoli dal 2% all’11,75%. Nel frattempo, l’inflazione è salita al 10,54% di febbraio, ai massimi dal 2016.
Tuttavia, questa potrebbe essere l’ultima chiamata utile per investire in Brasile. A ottobre si terranno le elezioni presidenziali e i sondaggi accreditano l’ex presidente Lula super favorito della vittoria sia al primo che al secondo turno. L’uscente Jair Bolsonaro è molto debole nei consensi e non otterrebbe il secondo mandato. Si tratta di un appuntamento delicato per i mercati finanziari, dati i trascorsi. Lula governò tra inizio 2003 e inizio 2011 con un programma di sinistra di lotta alla povertà, finanziato dal boom delle materie prime. La sua delfina Dilma Rousseff lo succedette, ma nel 2016 fu estromessa dall’incarico tramite un “impeachment” per avere truccato i bilanci.
Il possibile ritorno di Lula
Il lascito di questi anni del Partito dei Lavoratori al governo non è stato positivo. Corruzione dilagante (lo stesso Lula è finito in carcere) e assenza di riforme hanno fermato la crescita dell’economia brasiliana, pur mascherata per un lungo periodo dalla congiuntura favorevole delle materie prime sui mercati internazionali. Fatto sta che il debito pubblico è giudicato oggi “spazzatura” da tutte le agenzie di rating – BB- per S&P e Fitch, Ba2 per Moody’s – attestatosi all’80% del PIL nel 2021. Bolsonaro ha cercato di dare impulso al settore privato, deregolamentandolo e tagliando la spesa pubblica improduttiva e assistenziale. Nel 2019, fece approvare dal Congresso una riforma delle pensioni attesa da molti anni e che si stima farà risparmiare allo stato 800 miliardi di real in un decennio, oltre 150 miliardi di euro al cambio attuale e qualcosa come più del 10% del PIL.
Il ritorno di Lula potrebbe riportare l’economia brasiliana indietro ai tempi dell’assistenzialismo e delle mancate riforme. Si prospetterebbe un periodo di stagnazione e di scarso appeal per i capitali stranieri. La vera consolazione di questa fase consiste nel boom dei prezzi delle materie prime esportate, dalla soia al petrolio, passando per carne suina e minerali. Un trend che sostiene il cambio e che offrirebbe al prossimo presidente qualche margine di manovra fiscale in più. Ma mai come a ottobre si scontreranno due visioni contrapposte della società brasiliana.