Il fallito golpe in Turchia non ha scosso granché i mercati finanziari, come dimostra la riapertura affatto drammatica della Borsa di Istanbul di oggi, che cede solo il 2,5%. La stessa lira turca ha perso dalla sera del venerdì scorso l’1,4%, anche se nelle ore del tentato colpo di stato, le perdite erano arrivate al 4,6%. Il rientrato allarme ha contribuito a distendere grosso modo gli animi degli investitori. Insomma, non c’è quella fuga dei capitali ipotizzabile in questi casi. Come mai?
Se il golpe avesse avuto successo, la Turchia sarebbe stata sul piano geo-politico uno stato piùpart affidabile, essendo i militari secolaristi favorevoli all’Occidente e tutori della laicità dello stato anatolico contro il rischio islamista.
Partite correnti in forte passivo
Ad ogni modo, la Turchia non è da tempo una meta felice per gli investimenti, a causa di alcune criticità strutturali, che adesso rischiano di essere esacerbate con le possibili tensioni tra Ankara da una parte e USA e UE dall’altra. Per prima cosa, dobbiamo tenere conto che la lira ha già perso più del 20% quest’anno e più del 60% dallo scoppio della crisi finanziaria globale nel 2008.
Alla base di questa debolezza c’è un forte passivo delle partite correnti, che sintetizzano i flussi in entrata e in uscita di valuta, conseguenti all’interscambio di merci, servizi e ai movimenti finanziari. Ebbene, negli ultimi 10 anni, mediamente il saldo è stato negativo per il 5,8% del pil. Lo scorso anno, si è registrato un discreto miglioramento al -4,5% dal -5,4% del 2014, più che dimezzato dal -9,6% del 2011, ma resta il fatto che la Turchia vanta il peggiore saldo corrente di tutto il G-20. E si consideri che il crollo dei prezzi energetici internazionali avrebbe dovuto favorire le partite correnti, importando il paese il 90% dell’energia che consuma.