Islanda, la rivoluzione silenziosa

L'incredibile esempio dell'Islanda: la democrazia diretta
13 anni fa
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Crisi Islanda: dal 2009 a oggi – Mentre l’Europa annaspa con i problemi del debito dei PIIGS, l’Islanda, travolta nel 2009 da una crisi finanziaria senza precedenti, si sta lentamente riprendendo dalla debàcle. E lo sta facendo in modo del tutto opposto a quello che viene generalmente propagandato come inevitabile, attraverso la riappropriazione dei diritti e della partecipazione popolare alla vita pubblica.

La rivoluzione islandese – Niente aiuti (ricatti) da parte del FMI o della BCE in cambio dell’adesione del paese all’unione monetaria e niente prestiti internazionali a tassi d’interesse selvaggi per onorare i debiti.

A dire il vero l’Islanda aveva provato a bussare alle porte del Fondo Monetario Internazionale nel novembre 2008, quando il bilancio si stava tingendo di rosso con un deficit che debordava il 5% del Pil. Un modesto aiuto da 2,1 miliardi di euro arrivò tempestivamente per tamponare quella che sembrava una crisi gestibile, così come arrivarono altri aiuti dagli stati europei e dalla Russia pochi mesi più tardi. Ma quei piccoli prestiti, con l’avvitarsi della crisi finanziaria internazionale che seguì al crack di Lehman Brothers, non furono sufficienti a evitare il fallimento delle tre principali banche islandesi e il paese precipitò dalla sera alla mattina sull’orlo del baratro. I finanziamenti, si scoprì più tardi, furono concessi per permettere ad alcuni potentati economici di uscire indenni dagli investimenti islandesi in valuta prima che la situazione precipitasse (inglesi e olandesi rimasero incastrati), ma non per evitare il fallimento del sistema creditizio dell’isola il cui debito estero contratto dalle banche aveva toccato il 900 per cento del Pil.

Le banche islandesi fallite: dal default alla nazionalizzazione – Da qui il default delle tre principali banche: la Landsbanki, la Kaupthing e la Glitnir, che vennero poi nazionalizzate, e il crollo dell’85% della corona islandese sull’euro che fece precipitare l’Islanda sull’orlo della bancarotta.

Sicché la terra promessa con una crescita di oltre l’11% nel 2007, due anni dopo si scoprì gracile. Tutte le emissioni obbligazionarie bancarie domestiche andarono a terra, mentre quelle emesse da altri enti sovranazionali, come la BEI, continuano regolarmente a corrispondere interessi essendo maggiormente garantite, ma il cambio della corona con le altre valute fu sospeso a tempo indeterminato.

IL CAMBIO VALUTARIO E’ GONFIATO DEL 50%
Ma che fine ha fatto la corona islandese, una valuta che nel 2007-2008 fece impazzire gli investitori europei?

Islanda referendum per la libertà? – Benché a Reykjavík adesso hanno buoni motivi per festeggiare avendo detto di no, tramite un referendum popolare due anni fa, al giogo degli aiuti internazionali che avrebbero costretto la popolazione a pagare per 15 anni l’equivalente di 100 euro al mese (18mila euro a testa) per risanare il debito creato da ladri e banchieri farabutti (poi fatti arrestare), la situazione valutaria resta attualmente ancora molto critica.

Islanda cambio euro corona – Il cambio dell’euro con la corona islandese si aggira poco sopra quota 160 (valeva la metà tre anni fa), quello fissato dalla Banca Centrale Islandese e che non è accessibile agli investitori privati al di fuori del paese, mentre di fatto le banche creditrici, quelle che volevano strangolare l’Islanda dopo il default, applicano un cambio del 50% superiore, cioè 230-240. Le stesse banche che prima della svalutazione della corona islandese avevano rifilato agli investitori (anche italiani) obbligazioni in corone emesse da organismi sovranazionali più che affidabili, come la BEI. Ora queste banche, si offrono di ritirare le corone islandesi in mano agli investitori privati speculando selvaggiamente sul cambio. Cioè stanno spalmando un po’ alla volta sul retail le perdite che non sono riuscite a far ingoiare agli islandesi che si sono ribellati agli “aiuti” internazionali. Un po’ il contrario di quello che sta accadendo in Grecia.

Poi, fra qualche anno, quando la Banca Centrale islandese avrà ritirato tutte le corone in giro per il mondo (sono riprese piccole emissioni di titoli pubblici a tassi del 3-4%), le autorità monetarie lasceranno liberamente fluttuare il cambio con l’euro, che ora rimane artificiosamente frenato intorno a 160 corone (nel 2007 era tre volte di più). Ovviamente la propaganda fornisce tutta un’altra versione dei fatti. A metà agosto, l’ultimo rapporto del Fmi aveva promosso gli sforzi compiuti: il programma di sostegno – scrivono gli esperti di Washington – è stato un successo, gli obiettivi sono stati raggiunti e il paese è sulla via della ripresa. Oggi – scrive il Fmi – “un nuovo sistema bancario è emerso dalla crisi, con il coinvolgimento del settore privato”. In questo momento in Islanda stanno avvenendo cambiamenti e decisioni straordinarie che la stampa internazionale censura non prestando la dovuta attenzione. Il paese, dopo il crack, si è dato un nuovo governo, una nuova costituzione e ha sbattuto le porte in faccia alla colonizzazione e alla cessione della propria sovranità da parte del FMI e della Bce. L’economia islandese, da sempre basata sull’esportazione del pesce, ha sempre permesso alla popolazione di vivere serenamente e questo gli permetterà anche in futuro di continuare a farlo, anche se in maniera meno virtuosa per via delle conseguenze del default del paese. Gli islandesi, però, hanno saputo dare una lezione di democrazia e di sovranità popolare e monetaria a tutto l’Occidente, opponendosi pacificamente ed esaltando il potere della società civile e del diritto di cittadinanza di fronte agli occhi indifferenti del mondo. Ma di questo in Italia non se ne parla.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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