Pochi giorni fa l’Istat dava conto dei risultati record per l’occupazione italiana, salita a 24 milioni e 92 mila unità, pari al 62,5% dei residenti di età compresa tra 15 e 64 anni. Numeri molto positivi per il nostro mercato del lavoro, che vedono anche il crollo della disoccupazione al 5,8%, dato minimo toccato solamente nell’aprile del 2007. Ma abbiamo molta strada da percorrere per arrivare ai livelli medi europei, dove a lavorare sono più di 70 persone su 100. E se ancora avessimo avuto qualche dubbio, l’OCSE ci conferma che il problema dell’Italia si chiama istruzione.
Risultati pessimi sull’istruzione in Italia
L’Organizzazione con sede a Parigi ha sottoposto ad indagine circa 160.000 adulti di età tra 16 e 65 anni per valutare le loro competenze. E tra queste sono state testate quelle relative ai calcoli matematici. Nel complesso, ci siamo piazzati al 26-esimo posto su 31 Paesi. Dopo di noi ci sono solamente Israele, Lituania, Polonia, Portogallo e Cile. Il podio è composto da Finlandia, Giappone e Svezia. Malissimo i risultati delle prove matematiche. In media nell’OCSE il 44,6% ha ottenuto un punteggio nei livelli 3-4 o superiori, i più alti previsti. In Italia, solamente il 29,3%. Da noi, ben il 35,3% si è collocato al livello 1 o sotto contro una media OCSE del 24,7%.
Impatto negativo sull’occupazione
Che questi pessimi risultati c’entrino con l’istruzione è palese. Se non siamo in grado di svolgere calcoli matematici o di comprendere un testo, si vede che a scuola qualcosa non vada. In effetti, siamo anche tra i Paesi avanzati con il minore tasso di laureati e con il più alto tasso di abbandono scolastico. Il legame con l’occupazione lo fornisce la stessa OCSE, quando spiega che il tasso di partecipazione al lavoro tra chi ha un’età compresa tra 25 e 65 anni e ha riportato un punteggio da livello 4 o superiore nelle abilità di calcolo risulta del 92% contro il 60% di chi rientra nel livello 1 o più basso.
E tra i primi il tasso di disoccupazione è solo del 2%, mentre tra i secondi sale al 12%. Infine, lo stipendio medio orario (in dollari) è di 27 contro 17. Questi numeri ci confermano che la bassa o cattiva istruzione influenzano negativamente il percorso lavorativo di una persona. La rendono meno occupabile e la fanno guadagnare di meno. Se avessimo tassi di istruzione più alti e se i percorsi scolastici fossero migliori, la forza lavoro sarebbe più qualificata e, quindi, maggiormente occupabile. In più, gli stipendi medi risulterebbero più alti.
Scarsa produttività del lavoro
L’Italia continua a non voler capire che sia l’istruzione il suo punto debole. Le imprese si rifiutano di investire da noi in molti casi, non solo perché le tasse sono alte e la burocrazia asfissiante, ma anche perché la manodopera non dispone delle competenze richieste. E come un cane che si morde la coda, ciò genera bassa occupazione, povertà e scarsa istruzione. Un circolo vizioso che i governi non sono finora riusciti a spezzare, anche perché la scuola non interessa a nessuno. Dobbiamo essere onesti con noi stessi: non ha mai spostato un voto.
Se un’impresa si ostina a produrre in Italia, deve affrontare un problema di produttività del lavoro relativamente bassa. E questa dipende in molti casi proprio dalla scarsa istruzione di base. Una persona che ha frequentato solamente la scuola dell’obbligo, avrà maggiori difficoltà ad recepire concetti o metodi innovativi rispetto a chi possiede un diploma o una laurea. I discorsi sulla cosiddetta “università della vita” sono propinati ad uso e consumo di un popolo ostile all’istruzione. Ma non l’autoconsolazione non siamo andati lontano.
Bassa istruzione e nozionismo mali italiani
L’Italia spende in istruzione il 4% del Pil contro una media europea di oltre mezzo punto più alta.
Un popolo con un livello di istruzione basso è altresì poco innovativo. Non ha le competenze per sperimentare cose nuove, mentre ha tutto l’interesse a mostrarsi restio ai cambiamenti, consapevole dei propri limiti. E questo provoca immobilismo a tutti i livelli. Opportunità di crescita che non possono essere sfruttate e che non vengono neanche offerte. Mettiamoci anche l’età media avanzata e capiamo meglio perché siamo diventati un popolo impaurito del futuro.