Dopo un apparente buon inizio, la luna di miele tra Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron sembra già finita. Naufragata al largo delle coste siciliane sulla questione dei migranti, l’intesa tra i due governi si allontana. Forse non irreparabilmente, ma di certo serve un reset per tentare di riallacciare il dialogo. All’Eliseo non è andata giù che abbia dovuto accogliere una nave delle ONG al porto di Tolone. Ha subito reagito chiedendo alla Commissione europea di isolare Roma e altri governi di interrompere la collaborazione sulla ricollocazione dei richiedenti asilo.
Le parole di Macron sono parse scomposte, indegne di un capo di stato. Indipendentemente da come la si pensi sulla questione specifica, proferire attacchi verbali così sguaiati contro un governo alleato è qualcosa che raramente accade in era recente. Qualcuno lo ha definito un “fallo da frustrazione” per beghe di politica interna, ma se così fosse, non sarebbe legato tanto e soltanto al problema dei migranti.
Macron frustrato dai dossier industriali
La nascita del governo Meloni ha scombinato alcuni piani di Parigi. Fino a qualche settimana fa, sembrava cosa fatta l’acquisizione di ITA Airways da parte del fondo Certares d’intesa con Air France-Klm. Era la soluzione preferita dal governo Draghi, che aveva concesso alla cordata l’esclusiva nei negoziati fino al 31 ottobre scorso. Il nuovo ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, non ha prorogato tale esclusiva, facendo rientrare nei giochi la cordata formata da MSC e Lufthansa. Non è un mistero che questa seconda opzione sia la preferita dal centro-destra italiano.
E non c’è solo ITA a scuotere i francesi. Sempre il governo Meloni ha abbandonato il piano sin qui seguito dal predecessore su TIM, optando per l’adozione del piano Minerva. Rispetto al piano Draghi, esso ribalta i termini dell’operazione, consentendo alla Cassa depositi e prestiti di acquisire il controllo della compagnia con molte minori risorse e successivamente di operare la fusione con Open Fiber per tendere a una rete unica della fibra ottica in Italia.
La francese Vivendi, colosso europeo dei media, detiene il 23,75% di TIM e sperava di incassare una cifra considerevole attraverso lo scorporo della rete e la sua cessione allo stato italiano. La soluzione Meloni non le garantisce più questi maxi-introiti. Peccato che Vivendi abbia speso più di 5 miliardi per acquisire una quota che oggi vale, agli attuali prezzi di borsa poco più di 1 miliardo. Malgrado la svalutazione a bilancio a 0,63 euro, le ulteriori perdite sfiorerebbero i 2 miliardi. Un salasso per i conti della famiglia Bolloré. E Macron ha certamente seguito il dossier, guardando con preoccupazione alla “cacciata” di un investitore francese in forte perdita.
Banche italiane nel mirino di Francia
E poi ci sono le banche. Banco BPM è nel mirino di Credit Agricole, che ha rastrellato una quota di capitale pari al 9,18%. Allo stesso tempo, la compagnia Axa detiene l’8% di Monte Paschi di Siena. Che la finanza francese sia molto interessata al fragile sistema bancario italiano non è un mistero. Ma gli ultimi governi si sono mostrati riluttanti a tollerare quelle che sembrano sempre più scorrerie nello Stivale e non certo imprese improntate alla reciprocità nell’accesso al mercato. Già con il governo Gentiloni vi fu uno stop inatteso a Vivendi, che puntava a controllare Mediaset.
Le minacce di Macron non sono forse armi spuntate, dato il maggiore peso politico che la Francia riesce ad esercitare in seno alle istituzioni comunitarie. Semmai appaiono armi a doppio taglio, perché creare problemi al Bel Paese può trasformarsi in un boomerang per il sistema finanziario transalpino. Esso detiene circa un decimo del debito pubblico italiano, a cui risulta molto esposto. Questa animosità verbale sembra destinata a rientrare, a meno di non assistere a uno reciproco danno auto-inflitto.