Lo spread a 200 punti ci ha fatto ricordare che la crisi del debito sovrano dell’Italia non è finita e che è stata solo anestetizzata dal “quantitative easing” della BCE, rimasta praticamente l’unica a comprare i nostri titoli di stato in grandi quantità, tenendone bassi i rendimenti. La bassa crescita economica, la risalita della disoccupazione, la crisi delle banche italiane e il malcontento crescente degli elettori tra un governo e l’altro stanno aumentando seriamente le probabilità che prima o poi l’Italia esca fuori dall’euro.
Immaginiamo che in un venerdì sera, alla chiusura dei mercati e prima del fine settimana, il governo italiano, magari a cinque stelle, comunichi agli italiani la decisione di tornare alla lira. Potrebbe anche accadere che prima di tale atto, sia stata celebrata una consultazione popolare consultiva, come sulla Brexit nel Regno Unito otto mesi fa. (Leggi anche: Italia fuori dall’euro, decisivi i prossimi 12 mesi)
Con l’Italia fuori dall’euro sarebbe assalto alle banche
L’euro non potrebbe scomparire dalla sera alla mattina, non fosse altro perché serve tempo per stampare nuove banconote in lire e per consentire a tutti di entrarne in possesso. Già, ma a quale tasso di cambio? Sappiamo che dall’1 gennaio del 1999, esso fu fissato in 1.936,27 lire per un euro. Questo, però, sarebbe il cambio attuale, in vigore da oltre 18 anni, ma non quello a cui verrebbero scambiate le nuove lire contro gli euro, perché è lapalissiano che la moneta nazionale verrebbe valutata sul mercato molto di meno di quanto non sia implicitamente oggi, attraverso il cambio irreversibile di cui sopra.
Milioni di italiani si precipiterebbero in banca ad assaltare sportelli e ATM per cercare di spostare denaro all’estero prima che si svaluti o per prelevarlo in contante, ma verrebbero certamente introdotti controlli sui capitali da parte del governo, ovvero limiti giornalieri ai prelievi in contante, come nell’estate 2015 in Grecia.