Torniamo con la mente indietro di 50 anni. Saremmo nel 1967, quando il mondo era ancora diviso in due blocchi e il disgelo tra USA e Russia, avviato un decennio prima con l’ascesa alla presidenza di Nikita Kruscev, era stato messo a dura prova dalla crisi di Cuba, quando nel 1962 il pianeta sfiorò il rischio di una guerra nucleare potenzialmente cataclismatica. L’istituto Pew Research ha condotto un sondaggio su 43.000 persone in tutto il mondo, chiedendo loro se ritengono che oggi si stia peggio o meglio di 50 anni fa.
Le risposte, com’è facile intuire, variano moltissimo da stato a stato e fa specie notare come l’Italia si collochi in fondo alla classifica, ovvero si annovera tra i più pessimisti al mondo. Da noi, il 50% ha risposto che si starebbe peggio oggi di mezzo secolo fa, mentre solamente il 23% che si starebbe meglio. Il saldo è negativo del 27%, un dato che dovrebbe farci riflettere, perché è indubbio come oggi un italiano medio stia meglio: viviamo più a lungo, godiamo di un reddito pro-capite ben più alto, di un’istruzione mediamente molto più elevata e disponiamo di beni e servizi incomparabilmente superiori per qualità e quantità rispetto ad allora.
Eppure, greci e italiani sono i più pessimisti d’Europa. I primi hanno risposto per il 53% peggio e solo per il 28% meglio, ma il saldo tra le due risposte è negativo meno che da noi (-25%). Per capire come siamo malmessi, almeno in termini di classifica, sappiate che siamo in compagnia di Venezuela, Messico, Giordania e Argentina, unici paesi a mostrare un tasso di pessimismo superiore al nostro.
Si stava meglio quando si stava peggio?
In Europa, la media risulta essere del 53% per chi ritiene che si stia meglio oggi e del 30% per chi pensa si stesse meglio 50 anni fa. Il saldo continentale è, quindi, positivo per il 23%. In Germania, esso arriva al 45% (65% contro 20%), lo stesso che in Olanda (64% contro 19%), leggermente superiore al 41% della Svezia (64% contro 23%), ma inferiore al 48% della Spagna (68% contro 48%). In Francia, invece, prevale il pessimismo (46% contro 33%), ma sorprendentemente anche negli USA, guardando fuori dall’Europa, si ha la prevalenza dei pessimisti con il 41% contro il 37% degli ottimisti.
Sul piano mondiale, a vedere maggiormente rosa sono risultati gli abitanti del Vietnam, dove ben l’88% ha risposto che oggi si starebbe meglio di 50 anni fa, mentre solo il 4% il contrario. E c’è da crederci. Se oggi l’economia emergente è in boom, mezzo secolo fa stava sotto le bombe degli americani. A seguire India (69% contro 17%), Corea del Sud (68% contro 17%) e Giappone (65% contro 15%). Al quinto posto, troviamo i tedeschi. (Leggi anche: Il Vietnam si mette alle spalle la guerra e oggi ama l’America)
In generale, troviamo che sarebbero maggiormente nostalgici dei tempi che furono coloro che vivono oggi meglio, secondo tutti gli indicatori socio-economici internazionali. Viceversa, le economie ancora più “arretrate”, ma in forte espansione, nutrirebbero un senso di orgoglio per il presente, che le spinge a guardare con maggiore distacco il loro passato.
Reagire al pessimismo
I risultati del sondaggio non sorprendono più di tanto, a dire il vero, perché riflettono il pensiero comune, diffuso nel nostro Paese, che le passate generazioni abbiano goduto di condizioni lavorative e prospettive migliori di quelle attuali, la storia per cui i padri stavano bene dei loro figli oggi ventenni e trentenni. Si tratta di sentenze opinabili sotto vari profili. Ad esempio, i tassi di occupazione erano più bassi alla fine degli anni Sessanta che oggi, si guadagnava molto meno in termini reali e si era costretti ad accontentarsi di lavori mediamente più faticosi. Tuttavia, ad essere più basse erano forse le pretese, per cui ci si sposava prima, si facevano più figli e si viveva più felici con molto meno.
Se tutto restasse confinato a un solo sondaggio, nessun problema. Il punto è che, come dicevamo, esso rispecchierebbe un modo di pensare che si è diffuso a macchia d’olio in Italia (effetto social?) e che si traduce in un pessimismo di fondo, con effetti visibili sull’economia reale, in termini di bassi investimenti, consumi stagnanti, bassa fertilità ed elevato tasso di inattività lavorativa, con milioni di persone a nemmeno cercare un impiego, scoraggiati dal trovarlo. Reagire al pessimismo non è facile, non lo si fa per decreto o tramite una riforma, ma creando un clima di fiducia, che poggi non nell’ostentazione di un ottimismo di maniera – pratica per la quale la politica italiana è maestra da anni – bensì nel fornire risposte alle paure, spesso più che giustificabili, di lavoratori, imprese, studenti, disoccupati, anziani.
Notare che in Italia vi sia il 27% in più di persone sostenere che si stesse meglio 50 anni fa, contro il 23% in meno della media europea, segnala uno scollamento dal resto del continente sul piano non solo del puro sentimento, quanto specialmente delle aspettative per il futuro. E da che mondo è mondo, sull’onda del pessimismo non si sono mai compiuti grossi progressi.