La manovra di bilancio è stata presentata dal governo di Giorgia Meloni nella giornata di ieri, ma fino alla sua approvazione definitiva in Parlamento sarà suscettibile di cambiamenti. Pur a saldi contabili invariati, probabile che deputati e senatori della stessa maggioranza si sbizzarriscano nel voler apportare qualche modifica per piantare bandierine personali e di partito. Una delle proposte in discussione negli ultimi giorni riguarda il taglio dell’IVA su pane, pasta e latte. Anzi, si tratterebbe di azzeramento vero e proprio.
“Sarebbe una cosa molto bella”, ha dichiarato Matteo Salvini, che oltre ad essere segretario della Lega è anche vice-premier e ministro delle Infrastrutture. Ma è proprio Fratelli d’Italia a frenare. Il ragionamento dei proponenti è semplice e per molti versi condivisibile: l’inflazione sta devastando il potere di acquisto delle famiglie. Serve offrire sollievo ai redditi più bassi. E abbassare l’IVA su pane, paste e latte, consumi alimentari di base, comporterebbe risparmi a carico dei ceti popolari.
Ma il partito di Meloni oppone un ragionamento altrettanto concreto: quand’anche azzerassimo l’IVA su questi prodotti di base, i risparmi per le famiglie sarebbero impercettibili. In compenso, il costo a carico dello stato non sarebbe così indifferente. Stando ai calcoli, ogni consumatore pagherebbe complessivamente pane, pasta e latte per 21 euro in meno in un anno. Fanno 1,75 euro al mese. E sempre che i commercianti trasferiscano realmente lo sgravio sui clienti. Per importi così contenuti – parliamo di qualche centesimo per prodotto – è verosimile che lo intaschino in tutto o in parte.
Taglio IVA su pane o calo spread?
Dunque, lo stato spenderebbe oltre 1 miliardo di euro per finanziare una misura di cui non si accorgerebbe nessuno. E la parola d’ordine della premier è “concretezza”. Ad essere sinceri, la prima di tutte è “prudenza”.
La linea Meloni può anche non piacere agli alleati in cerca di visibilità dopo la batosta elettorale di settembre. Ma è risultata efficace per far crollare lo spread sotto 190 punti. Al suo debutto al governo, c’è chi ipotizzava sfaceli sui mercati finanziari. Lo spread sarebbe dovuto esplodere per punire la premier “sovranista” e “populista”. In verità, il tandem Meloni a Palazzo Chigi e Giancarlo Giorgetti al Ministero di economia e finanze ha placato gli animi e finora sgonfiato il rischio sovrano percepito ai minimi dalla primavera scorsa.
Pur dovendo concedere qualcosa alle ragioni elettorali, la premier ha sin qui tenuto la barra dritta: solo misure concrete, poco efficaci e nell’alveo della sostenibilità fiscale. I mercati hanno apprezzato. E quando parliamo di mercati, ci riferiamo anche alle famiglie, che con il BTp Italia 2028 hanno dimostrato di non nutrire timori nei confronti dell’esecutivo. D’altra parte lo spread non è sceso una volta per tutte. Può risalire in men che non si dica per qualche passo imprudente compiuto dal governo. E Meloni non è sprovveduta, consigliata da uno staff che ha finora dimostrato di essere all’altezza della situazione.