Al governo Meloni serve più la motosega di Javier Milei e meno decreti statalisti

Accolto come una star ad Atreju, il presidente argentino Javier Milei può offrire spunti al governo Meloni che vadano oltre le parole.
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Riforme di Milei e non ricette stataliste
Riforme di Milei e non ricette stataliste © Licenza Creative Commons

E’ stato accolto come una star con il pubblico che gridava “libertà”. Javier Milei ad Atreju ha confermato il suo altissimo appeal all’estero tra le formazioni di destra. In appena un anno di governo, il presidente ha già messo sottosopra l’Argentina. Ha abbattuto la crescita dell’inflazione dal 25,50% mensile del dicembre 2023 al 2,7% del mese scorso. Ha azzerato il deficit e quest’anno i conti pubblici chiuderanno in leggero attivo, spesa per interessi inclusa. Ha quasi eliminato il dualismo tra cambio ufficiale e cambio di mercato con la maxi-svalutazione del peso iniziale, seguita da una svalutazione del 2% al mese.

E ha raso al suolo sussidi e spese dello stato superflue, al contempo liberalizzando l’economia e iniziando a vendere gli asset pubblici.

Affinità elettive con Meloni

La politica di Milei è quella che definiremmo liberista e lo stesso presidente si definisce tale, con l’aggiunta di “anarco”. Dal palco di Atreju ha confermato il suo disprezzo per lo stato e l’amore per la libertà. C’è grande sintonia con Giorgia Meloni e Donald Trump. I tre leader, nella visione dell’argentino, dovrebbero essere il perno di una internazionale “rivoluzionaria di destra” che si opponga alla sinistra “woke” e statalista.

L’Italia non è l’Argentina. I nostri problemi sono in parte diversi, per cui sarebbe patetico pensare di replicare pedissequamente le ricette altrui. E’ pur vero, comunque, che gran parte dei nostri mali hanno origine da quell’eccesso di spesa pubblica che tiene alta l’imposizione fiscale e disincentiva la creazione di ricchezza. La stessa premier ha dichiarato che con Milei condivide il rifiuto dei sussidi come modello per diffondere benessere nella società. E fin qui è tutto bello. Il reddito di cittadinanza, pur non cancellato del tutto, è stato ridimensionato da quest’anno proprio dal governo di centro-destra.

Dai tassisti ai lidi, troppo corporativismo

Ma se Milei è una star per il popolo meloniano, deve esserlo fino in fondo e non facendo “cherry-picking”.

Alcune leggi di questo esecutivo nella Buenos Aires di oggi verrebbero tacciati di socialismo. Perché effettivamente è così. Prendiamo il decreto Salvini-Piantedosi con cui si costringono gli autisti di Ncc (Noleggio con conducente) di attendere almeno 20 minuti tra una corsa all’altra. Un obbligo che punta a disincentivarne l’uso, così da favorire la piccola e granitica casta dei tassisti, i quali sono anche pessimi contribuenti. Lo dicono i dati, non le opinioni personali di qualcuno. L’altra grande battaglia corporativa riguarda la difesa dello status quo sugli stabilimenti balneari.

L’alleato della premier, Matteo Salvini, è il principale sostenitore di svariate ricette stataliste, che hanno tutte il senso di difendere piccole corporazioni con il risultato di rendere il mercato italiano poco aperto. Questa incoerenza prima o poi dovrà essere affrontata da Meloni. O Milei o Salvini. Non è possibile fingere che certi proclami siano di destra. Non lo sono neanche quelli che vorrebbero la presenza dello stato a tempo indeterminato in Monte Paschi, così come in altri asset presunti strategici e che tali non sono.

Più Milei e meno decreti statalisti

E cosa dire di un altro decreto statalista, quello che costringe i titolari di B&B a consegnare di persona le chiavi agli inquilini? Qui, Salvini effettivamente non c’entra, a conferma che certo corporativismo contrario alla libertà d’impresa è trasversale nell’attuale maggioranza. Per non parlare delle tasse sugli extra-profitti delle banche, degne di un governo di ultra-sinistra. Se Meloni crede per davvero che la ricchezza la creino gli individui e non i ministri a colpi di decreti, adotti più la motosega di Milei per tagliare la spesa pubblica in eccesso e meno certe idee corporativistiche degli alleati.

Le tasse si tagliano solo se si selezionano le voci del bilancio da sfoltire. Nessuno immagina misure radicali come in Argentina, ma il niente non è contemplabile.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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