L’Italia non è un paese parsimonioso sulla spesa pubblica. Spende più della metà del suo PIL, vale a dire della ricchezza annua prodotta, per erogare servizi alla popolazione e pagare gli interessi sul debito pubblico. E le sole pensioni assorbono quasi un terzo dell’intero budget, la voce di bilancio ormai stabilmente più alta. Quando si passa alla spesa per l’istruzione, invece, scendiamo nella parte bassa della classifica europea. Nell’anno 2021, l’Unione Europea destinò alla scuola il 4,9% del suo PIL.
Spesa per istruzione sotto la media UE
In termini pro-capite, la spesa per l’istruzione del nostro Paese risultava di poco superiore a 8.500 euro per ogni studente, il 15% in meno della media UE. Anche in rapporto all’intera spesa pubblica la nostra percentuale risultava e continua a risultare inferiore: 8% contro il 9,9%. Ma in Scandinavia si sfiora il 15% e in Francia si arriva al 9,6% e in Germania al 9,3%.
I governi italiani non hanno avuto a cuore la scuola negli ultimi decenni. Lo scorso anno, la spesa per istruzione fu di 71,5 miliardi di euro. Venti anni prima era stata di 63,3 miliardi. In termini percentuali, una crescita di appena il 12,8% o 0,6% all’anno. Il rapporto con il PIL è sceso di circa un punto percentuale. Nello stesso periodo l’inflazione è stata del 45%, per cui la spesa per istruzione è crollata di un terzo in termini reali. Ha certamente inciso il “congelamento” degli stipendi degli insegnanti per lunghi anni.
Almeno 20 miliardi in meno in 20 anni
Se lo stato italiano avesse adeguato la spesa per istruzione almeno all’inflazione rispetto a venti anni fa, l’anno scorso avrebbe stanziato venti miliardi in più per questa voce di bilancio. Ma chi crede che questo risparmio abbia, tutto sommato, contribuito a risanare le finanze pubbliche, probabilmente si ricrederà.
Legame tra povertà e bassa istruzione
La povertà non colpisce in maniera indistinta. Sempre l’Istat snocciola numerosi dati al riguardo. Riguardo al grado di istruzione, calcolava che essa si attestava al 4% tra le famiglie il cui riferimento possiede una laurea o un diploma, salendo al 12,5% tra chi ha una licenza media e al 13% tra chi ha la licenza elementare o non possiede alcun titolo di studio. E i poveri hanno diritto ai sussidi, mentre non contribuiscono o contribuiscono solo marginalmente al gettito fiscale e alla creazione di ricchezza. Dunque, una maggiore povertà impatta negativamente sui conti pubblici.
Da questi numeri emerge che investire in istruzione favorirebbe una discesa del tasso di povertà. Il problema è che l’Italia va nella direzione opposta anche dinnanzi alle evidenze. Tra i giovani di età compresa tra 25 e 34 anni risulta essere al penultimo posto nell’Unione Europea per numero di laureati: 26,8% contro il 41,6%. La percentuale crolla al 20,7% nel Mezzogiorno, un’area in cui non a caso il tasso di povertà esplode al 20,5% delle famiglie residenti.
Spirale tra bassa crescita e povertà
In generale, in Italia possiede una laurea il 20,4% della popolazione giovanile maschile contro una media UE del 36,3%. E tra le donne si attesta al 33,3% contro il 47%. Certo, il problema non sarebbe soltanto di investire di più nelle università italiane, visto che risultiamo anche in cima alla classifica europea per abbandono scolastico. Ma è evidente il nesso tra scarsa istruzione e povertà, che passa per scarse prospettive occupazionali (vedi la bassa occupazione cronica nel nostro Paese) e bassi salari (unico caso nel mondo ricco ad avere registrato un calo in termini reali nei 30 anni al 2020).
L’Italia ha da decenni un grosso problema di produttività del lavoro e per questo non riesce a crescere.
Bassa spesa per istruzione, opinione pubblica insensibile
Aumentare sic et simpliciter la spesa per istruzione non sarebbe la soluzione. Servono efficienza e avere una visione di cosa debba essere la scuola. Non possediamo notoriamente né l’una e né l’altra. L’unica apparente verità è che i governi non assegnino priorità a questo tema per il semplice fatto che non porti consensi. Anche svoltando, i primi risultati concreti si vedrebbero tra diversi anni e nel frattempo la politica non potrebbe rivendicare alcunché di elettoralmente vendibile. La scarsa sensibilità degli elettori, figlia in gran parte proprio della scarsa istruzione, completa il quadro.