La Russia quest’anno esporterà 36,6 milioni di tonnellate di grano, il dato più alto dai tempi del collasso dell’Unione Sovietica e quasi decuplicando le 4 milioni di tonnellate dell’anno 2010-’11. Rispetto allo scorso anno, il balzo sarebbe atteso nell’ordine di quasi il 32%, segno di una forte ripresa del comparto agroalimentare russo, trainato anche dal tonfo del rublo di questi ultimi anni. Pur in ripresa dall’inizio del 2016, infatti, il cambio contro il dollaro resta in calo di quasi il 40% rispetto ai livelli di metà 2014.
Per trovare nel mondo un dato superiore, dovremmo tornare indietro di un quarto di secolo e negli USA, quando nel 1992-’93 esportarono 36,8 milioni di tonnellate, dato pur inferiore al record di 48,2 milioni di inizio anni Ottanta, periodo in cui l’impero sovietico iniziava a scricchiolare e doveva importare grano dall’America. Il rilancio di questi ultimi anni passa anche per una politica di investimenti più sostenuti, tra cui l’introduzione dell’uso di fertilizzanti, resasi più indispensabile per l’economia russa con il tracollo delle quotazioni del petrolio, di cui Mosca è prima produttrice al mondo con circa 10,5 milioni di barili al giorno e da cui le sue casse statali derivavano fino alla crisi del 2014 quasi la metà delle entrate statali.
La Russia limiterà le esportazioni di grano, possiamo preoccuparci?
I problemi logistici russi
E per la prima volta dal 2012, l’Egitto è diventato il primo acquirente di prodotti agroalimentari russi per un controvalore di 1,74 miliardi, seguito dagli 1,7 miliardi della Cina e dagli 1,5 della Turchia. In tutto, le esportazioni russe di generi alimentari sono esplosi del 25% nel 2017, arrivando a 19 miliardi di dollari, complice il fattore climatico, non sempre così benevolo con la Madre Russia.
Ma la Russia continua a mostrare problemi di logistica, che si ripercuotono sulla sua stessa capacità di esportare grano. I porti del Mar Nero, ad esempio, avrebbero una capacità di smerciare appena un terzo dell’intero raccolto vendibile all’estero, mentre le province siberiane offrono generalmente un raccolto superiore di almeno un terzo al fabbisogno locale, ma non vi sono porti vicini per esportarlo, con la conseguenza che il grano deve essere caricato spesso su gomma per le strade delle sterminate tundre russe fino a 7.000 km, pesando negativamente sui costi, ma anche sulla salubrità della materia prima. Essendo, dunque, i porti lontani dai centri di raccolta e trovandosi questi perlopiù localizzati nel Mar Nero, nonostante l’offerta abbondante, ancora oggi la Russia non riesce a soddisfare la domanda dei vicini mercati asiatici e di ciò ne approfittano le società americane, canadesi e australiane.
Grano, scoppia la protesta per l’invasione dall’estero
C’è, però, una prospettiva positiva per i russi, paradossalmente offerta da un temibile avversario geopolitico e commerciale in Asia: la Cina. Pechino sta iniettando ingenti investimenti per quella che gli analisti definiscono la nuova Via della Seta, un progetto che punta a unire logisticamente una cinquantina di stati dell’Asia orientale. Di tale progetto potrà approfittare proprio la Russia, integrandosi sul piano infrastrutturale e riuscendo così a trovare sbocchi commerciali più immediati e naturali per il suo grano, ma non solo. Una brutta notizia per Washington, che non a caso sta mettendo nella lista nera tutti i governi che stanno mostrando di collaborare al piano espansionistico cinese, tra cui il Pakistan.