Il 10 dicembre si riunisce per l’ultima volta quest’anno il board della BCE. Rispetto all’ultimo incontro di due settimane fa, ci sono due importanti novità. La prima è che negli USA avrebbe vinto (riconteggi permettendo) il candidato democratico Joe Biden; la seconda, che il vaccino contro il Covid inizierebbe ad essere in commercio sin dai primi mesi del 2021. Nel frattempo, però, la crisi sanitaria è divenuta più acuta nell’Eurozona e un po’ tutti gli stati hanno inasprito le restrizioni, con Francia e Irlanda ad avere imposto un secondo lockdown come a marzo.
La BCE medita di rivedere la sua strategia sugli acquisti di corporate bond
Quasi certamente, la BCE potenzierà gli acquisti del PEPP, il piano emergenziale da 1.350 miliardi di euro, che consiste in acquisti straordinari di titoli di stato e obbligazioni private, corroborando l’efficacia del “quantitative easing”. A differenza di quest’ultimo, non è tenuto a rispettare il “capital key”, la regola aurea che lega gli acquisti dei bond sovrani alle dimensioni economiche degli stati dell’euro. E, infatti, ad oggi con il PEPP Francoforte ha potuto acquistare BTp per un controvalore pari a un quarto del budget destinato bond governativi, così come Bonos per il 17% del totale. Percentuali nettamente superiori a quelle a cui Italia e Spagna avrebbero diritto sulla base del “capital key”.
Le critiche interne all’operato della BCE
Ma in settimana sono usciti allo scoperto due importanti rappresentanti del board per dire la loro. Jens Weidmann, a capo della Bundesbank, la banca centrale tedesca, ha sentito il dovere di avvertire che la politica monetaria non può sostituirsi a quella fiscale. E il lussembughese Yves Mersch, in scadenza di mandato, ha spiegato che la BCE non può agire in modo da spiazzare le misure adottate da Bruxelles per reagire alla crisi, vale a dire Recovery Fund, Sure e il MES.
E’ accaduto, infatti, che con i super-acquisti avviati dall’istituto sin dal marzo scorso, i rendimenti sovrani nell’area siano scesi ai minimi storici ovunque. Paesi come Italia, Spagna e Portogallo ne sono risultati i principali beneficiari, con i rispettivi governi che stanno riuscendo a indebitarsi sui mercati a tassi negativi fino alle medio-lunghe scadenze e a costi quasi nulli sul tratto più lungo. Per questo, Madrid e Lisbona hanno fatto trapelare nelle scorse settimane l’intenzione non solo di non richiedere alcuna assistenza al MES sanitario, ma anche di non fare richiesta dei prestiti del Recovery Fund. Il premier italiano Giuseppe Conte, poi, continua a respingere ogni ipotesi di optare per il MES.
Conte rinuncia al MES, Spagna e Portogallo persino ai prestiti del Recovery Fund
In effetti, non ha più molto significato chiedere aiuto al MES, pur sprovvisto di condizioni, tranne quella che i fondi debbano essere utilizzati per spese sanitarie “direttamente o indirettamente” collegate alla lotta al Covid. Se gli stati possono indebitarsi a costi bassissimi, perché mai dovrebbero sottoporsi a un programma esterno? Lo stesso dicasi per il Recovery Fund. I prestiti costeranno pochissimo, grazie alla possibilità per la Commissione UE di indebitarsi sui mercati a tassi negativi fino alle lunghissime scadenze, ma ciò non toglie che sarebbero un minimo condizionati all’implementazione dei programmi di spesa comunicati dagli stessi governi beneficiari. L’alternativa consiste, invece, nell’indebitarsi direttamente sui mercati senza rendere conto a nessuno. Politicamente, ha molto più senso, pur a fronte di qualche (ormai) spicciolo in più da pagare agli obbligazionisti.
L’ipotesi di nuovi stimoli condizionati
La BCE non è contenta per la china che stanno prendendo gli eventi.
L’idea sarebbe di incentivare comportamenti virtuosi da parte dei governi, convincendoli a sottoporsi a programmi di assistenza a condizioni blande. Se così fosse, però, la reazione dei mercati rischierebbe di essere pesante. La copertura della BCE offerta ai titoli di stato nell’area è stata ad oggi totale e incondizionata e ciò ha abbattuto la percezione del rischio sovrano in Italia, in particolare. Se Francoforte iniziasse a introdurre qualche distinguo, il suo “scudo” non verrebbe più percepito come tale e gli investitori, che hanno già da settimane scontato acquisti supplementari per 500 miliardi e un’estensione temporale del PEPP di altri 6 mesi incondizionati, finirebbero per vendere BTp, Bonos e titoli lusitani. A quel punto, i rendimenti sovrani tornerebbero a salire e le eventuali adesioni al MES verrebbero viste come forzate e Roma, Madrid e Lisbona resterebbero potenziali vittime di uno stigma.
Perché dai nuovi stimoli BCE a dicembre possibili brutte notizie per i BTp