Il 2020 si è chiuso con emissioni lorde di debito pubblico per 550,668 miliardi di euro, di cui 368,873 miliardi di titoli a medio-lungo termine e 181,815 miliardi di titoli a breve scadenza (fino ai 12 mesi). Si tratta di una cifra nettamente superiore ai 400 miliardi del 2019, risentendo dell’indebitamento extra a cui lo stato italiano ha dovuto dar vita per finanziare le spese relative all’emergenza Covid e coprire il calo del gettito fiscale provocato dal collasso del PIL. Fino a pochi mesi fa, serpeggiava il forte timore che il Tesoro non sarebbe stato in grado di fronteggiare tutte le scadenze, a causa dell’altissima mole di debito da emettere.
Ma la buona notizia non è solo che siamo riusciti a completare il calendario delle emissioni senza chiedere aiuto formalmente a nessuno (MES, in primis), quanto anche che il nuovo debito ci è costato meno di quello emesso lo scorso anno. Secondo il responsabile del Tesoro, Davide Iacovoni, il rendimento medio all’emissione è stato dello 0,59%, giù dallo 0,93% del 2019. In valori assoluti, questo significa che su 551 miliardi di nuovo debito pagheremo ogni anno 3,25 miliardi, circa mezzo miliardo in meno di quanto sosteniamo sui 400 miliardi emessi nel corso del 2019. In totale, la spesa per interessi dell’Italia dovrebbe attestarsi a circa 62 miliardi e mezzo, giù dai 64 miliardi di fine 2019.
Stiamo affermando, cioè, che mentre il debito pubblico italiano sta esplodendo sia in valore assoluto che in rapporto al PIL, a noi contribuenti continua a costare sempre meno. Il costo implicito, quello che si ottiene rapportando la spesa per interessi all’intero stock del debito, dovrebbe scendere al 2,4% nel 2020. Sarebbe su livelli molto più bassi di un decennio fa, quando il debito era di circa 750 miliardi più basso e ci costava la media del 3,8%.
Il Fondo Monetario consiglia all’Italia di chiedere aiuto sul debito pubblico
La mano santa della BCE
Ma tutto questo non è avvenuto per caso, né per la ritrovata fiducia dei mercati verso l’emittente Italia. Il nostro benefattore si chiama BCE, che ha messo in campo sin dal 2014-’15 misure poderose per sostenere i debiti sovrani dell’Eurozona, specie quelli dei paesi fiscalmente più deboli come l’Italia. E quest’anno, ha compiuto un nuovo sforzo con il varo del PEPP, un programma di acquisti in emergenza, recentemente elevato a 1.850 miliardi di euro. Grazie a questi provvedimenti, riusciamo a indebitarci a costi di anno in anno sempre minori. Si consideri che il costo per le emissioni del 2020 è pari solamente a un quarto di quello complessivo, per cui arrivano a scadenza titoli più costosi per lo stato di quelli che li rimpiazzeranno. Fino a quando questo trend sarà confermato, la spesa per interessi dell’Italia diminuirà e allevierà i conti pubblici.
Superata l’emergenza Covid, sarebbe il momento migliore per iniziare a fare pulizia del bilancio statale, così da approfittare in pieno del sostegno BCE, il quale non sarà eterno, ma si affievolirà già a partire dalla ripresa dell’economia nell’Eurozona. Se lo stock del debito smettesse di crescere o aumentasse molto più lentamente del periodo pre-Covid, i risparmi si amplificherebbero, perché oltre a costare meno, le nuove emissioni sarebbero pure più basse. E man mano che il PIL nominale crescesse, l’incidenza degli interessi su di esso cadrebbe, consentendoci di perseguire avanzi primari meno consistenti per centrare il pareggio del bilancio. Detto altrimenti, avremmo bisogno di tagliare la spesa improduttiva per fare minore austerità fiscale futura, sia essa in forma di tagli alla spesa (sociale compresa) che di aumenti delle tasse.
Il debito pubblico italiano corre e senza la BCE sarà sempre più difficile finanziarlo