In video conferenza, Christine Lagarde ha dichiarato di attendersi una tendenza disinflazionistica o leggermente deflattiva per il periodo immediatamente successivo all’emergenza Coronavirus, seguita da un rialzo graduale dei prezzi. Il governatore della BCE ha detto che le filiere produttive saranno “più corte” mediamente del 35% e che la robotizzazione aumenterà del 70-75%. A tale proposito, ha fatto appello per la creazione di un mercato digitale unico dei pagamenti. Questo avrà un impatto negativo sull’occupazione, ma si spera, ha aggiunto, che la crescita della produttività che ne seguirà possa creare le condizioni per una ripresa dell’economia e dei prezzi.
La ristrutturazione già incipiente delle economie dovrebbe durare un paio di anni, successivamente ai quali l’inflazione tornerebbe a salire. Queste parole danno il senso dei tempi in risposta ai quali la BCE intenda muoversi nell’ambito della sua politica monetaria. Se c’è un elemento quasi certo che deduciamo da queste dichiarazioni è che i tassi non verranno verosimilmente alzati da qui a tutto l’anno prossimo e che gli stessi acquisti di assets verranno mantenuti fino a quando non si avranno ragionevoli certezze che l’inflazione nell’Eurozona stia tendendo stabilmente al target.
Sinora, il “quantitative easing” non possiede alcuna data di scadenza, mentre il programma di acquisti emergenziali condotti con il PEPP è stato procrastinato fino alla prima metà dell’anno prossimo. L’allentamento monetario, dunque, resterà forte nel medio termine, ma già con il finire del 2021 il quadro potrebbe iniziare a mutare, non repentinamente. In un certo senso, è come se Lagarde abbia voluto districarsi tra le richieste dei “falchi” del Nord Europa per una riduzione quanto prima della linea accomodante e le pretese eccessive dei governi del Sud Europa, che starebbero confidando troppo negli stimoli per fare spesa in deficit.
Perché la Germania dovrà accettare una BCE sempre più interventista per salvare l’euro
L’antifona che l’Italia deve capire
Il governatore ha voluto rassicurare i primi sul fatto che la politica monetaria si normalizzerà al momento opportuno e i secondi sull’assenza di piani per un ritiro a breve degli stimoli.
All’estero ci guardano come un popolo di alieni. In breve, siamo passati dall’allarme default, per via delle copiose emissioni di BTp attese per quest’anno, al finanziamento della infinita lista della spesa, nella quale compaiono misure a dir poco curiose, come il bonus vacanze o quello per l’acquisto dei monopattini elettrici. C’è il solito assistenzialismo nei decreti del governo Conte, mentre il grande assente è il sostegno alla crescita. L’inutile sfilata agli Stati Generali a Villa Pamphilii si è rivelata uno spreco di tempo e di energie, non avendo partorito alcuna idea, se non l’intenzione (isolata) del premier di tagliare temporaneamente l’IVA in deficit, facendo accapponare la pelle al suo ministro dell’Economia e ai funzionari di Bruxelles.
Lagarde ha anticipato, grosso modo e salvo incidenti di percorso (vedi rischio seconda ondata di contagi), le tappe che porteranno la BCE ad uscire dai maxi-stimoli di questi mesi e ad alzare i tassi. Non sarà un processo frettoloso, bensì “data-dependent”. Fin quando c’è crisi, l’Italia paradossalmente potrà indebitarsi sui mercati senza troppe paure, perché a coprire le emissioni ci sarà Francoforte.
Quanti BTp avrà la BCE a fine anno e cosa significa questo per l’Italia?