Il board della BCE di giovedì scorso ha esitato il primo rialzo dei tassi dal 2011 e il varo di uno scudo anti-spread, noto come TPI (Transmission Protection Instrument). L’aumento del costo del denaro è risultato essere doppio delle attese sui mercati, cioè dello 0,50%. Una mossa che si è resa necessaria per combattere l’inflazione, schizzata nell’Eurozona all’8,6% a giugno. Ma non c’è alcun argine in difesa del debito pubblico italiano. Il TPI si è rivelato uno strumento fortemente condizionato e persino discrezionale, come ci ha tenuto a precisare il governatore Christine Lagarde in conferenza stampa.
Scudo anti-spread inefficace
Non è stato un fulmine a ciel sereno. Da settimane dalla BCE erano trapelate indiscrezioni in tal senso. Hanno vinto i “falchi” del Nord Europa, non c’è ombra di dubbio. I titoli di stato oggetto di un eventuale attacco speculativo potranno essere acquistati dall’istituto dopo svariati passi. Quali? Concentrandoci su quelli principali, il paese che li ha emessi:
- deve essere in regola con le riforme sollecitate dal Recovery Fund;
- non deve essere sottoposto a una procedura UE d’infrazione per deficit eccessivo;
- non deve essere sottoposto a una procedura UE per squilibri macroeconomici eccessivi;
- deve avere un debito pubblico considerato sostenibile da un’analisi realizzata da BCE stessa, Commissione UE, Meccanismo Europeo di Stabilità e Fondo Monetario Internazionale;
- deve accettare tutte le eventuali misure richieste dalla Commissione.
In altre parole, aiuti in cambio di un vero e proprio commissariamento. Non si capisce per quale ragione la BCE abbia sentito l’esigenza di varare uno “scudo” nuovo, quando già ve ne era uno simile dal 2012: l’OMT di Mario Draghi. Consola poco sapere che non vi sarebbero “restrizioni ex ante”, anche perché sarebbe il board a valutare se sia il caso di utilizzare il TPI a difesa di questi o quei bond. Inoltre, tale utilizzo non può interferire con la linea di politica monetaria.
Massima prudenza fiscale per il prossimo premier
Il meccanismo è così complicato e incerto, che nei fatti il prossimo vincitore delle elezioni politiche non potrà farvi affidamento. Anzi, dovrà cercare in ogni modo di sventare un attacco speculativo garantendo per le finanze statali. Niente colpi di testa su aumenti di spesa e tagli delle tasse in deficit. Da un lato, bisogna mettersi in testa che sarebbe finita l’era dei sussidi a pioggia, dall’altro che non sia possibile alcuna riforma delle pensioni per l’ennesima volta gravante sui conti pubblici.
La risalita dello spread nelle ultime sedute, in conseguenza della caduta del governo Draghi, suggerisce a ogni partito e coalizione la massima prudenza nell’affrontare i temi dell’economia. Una riedizione del 2018 non deve essere neppure ipotizzabile. Per fortuna, la prossima legge di Bilancio sarà largamente condivisa tra i partiti, dato che con ogni probabilità sarà scritta sia dal governo uscente, sia dal successore. La discesa del debito pubblico in rapporto al PIL deve diventare l’obiettivo chiaro di tutti i leader. Solo così eviteremo il soccorso oneroso e persino stigmatizzante della BCE.