Partecipando a un evento per commemorare l’economista estone Ragnar Nurkse, il governatore della BCE, Christine Lagarde, ha fornito nuovi spunti per valutare le prossime misure di politica monetaria. Il suo discorso di questa mattina può considerarsi a tutti gli effetti da “falco” e per le ragioni che vedremo ha prospettato l’avvio del “quantitative tightening”. Anzitutto, ha notato che le prospettive macroeconomiche per l’Eurozona siano peggiorate, malgrado dati sul PIL migliori delle attese nel terzo trimestre. Ciononostante, ha spiegato che una “moderata recessione” non influenzerà l’inflazione.
“La meta finale sui tassi è chiara”, ha affermato, aggiungendo che “se i tassi d’inflazione resteranno alti e tali da disancorare le aspettative … saranno adottate ulteriori misure“. In quel caso, secondo Lagarde, la BCE non potrà aspettare che le misure adottate sino a quel momento dispieghino i loro effetti.
Se non agendo sui tassi, cos’altro potrà fare l’Eurotower? Ecco avanzare la prospettiva del quantitative tightening. Sin dal marzo 2015 e fino al giugno scorso, con la sola eccezione del 2019, la BCE acquistò titoli di stato e obbligazioni private per complessivi 5.000 miliardi di euro attraverso due programmi monetari noti rispettivamente come “quantitative easing” e PEPP. Questi bond continuano ad essere riacquistati per un importo pari a quello arrivato a scadenza, così da lasciare invariato il grado di liquidità dell’eurosistema monetario e il bilancio dell’istituto.
Due possibili quantitative tightening per la BCE
Con un’inflazione ormai sopra il 10%, questa liquidità non serve più. Anzi, dovrebbe essere ridotta per frenare la corsa dei prezzi al consumo. Ed è così che spunta il quantitative tightening. Sulla scorta di quanto prospettato già da Federal Reserve e Banca d’Inghilterra, esso potrà avvenire in tre modi differenti.
- smette di acquistare parte dei bond in scadenza (QT passivo parziale);
- smette di acquistare tutti i bond in scadenza (QT passivo totale);
- vende i bond in portafoglio a certi ritmi mensili (QT attivo).
A seconda dell’approccio adottato, l’impatto sul mercato dei bond sarà sempre più forte. Un quantitative tightening che si limitasse a cessare i riacquisti, farebbe lievitare i rendimenti obbligazionari per via della minore domanda. L’impatto sarebbe contenuto se i mancati riacquisti riguardassero solo una parte dei bond in scadenza. Ma essi s’impennerebbero nel caso in cui la BCE si mettesse anche a vendere i bond, perché oltre alla minore domanda si avrebbe anche una maggiore offerta. I prezzi cadrebbero. Da martedì scorso, questo scenario sta avvenendo senza scossoni nel Regno Unito, con la Banca d’Inghilterra ad avere avviato la vendita dei Gilt fino a 20 anni per 6 miliardi di sterline entro l’anno. Obiettivo: ridurre il bilancio di 80 miliardi entro un anno.
Questo scenario ha fatto salire lo spread sopra 215 punti, con il BTp a 10 anni in area 4,45%. L’innalzamento dei rendimenti impatterebbe negativamente sulla percezione del rischio sovrano per i paesi più indebitati come l’Italia. Per questo il costo di emissione a Roma salirebbe più velocemente che a Berlino. Ma il quantitative tightening probabilmente arriverà nei primi mesi del 2023, a meno che l’inflazione nell’Eurozona non inizi a scemare già da questo mese.