Al 27 agosto scorso, la BCE risultava avere acquistato obbligazioni sovrane e corporate per un controvalore complessivo di 1.325 miliardi di euro con il PEPP. Il programma emergenziale varato nel marzo 2020 per reagire alla pandemia è stato elevato da allora a 1.850 miliardi. Di fatto, resta da sfruttare per un residuo 30% scarso. E non è detto che l’intera somma stanziata debba essere spesa. Al board di settembre, l’istituto dovrebbe comunicare la sua decisione circa il possibile rallentamento degli acquisti settimanali, che negli ultimi mesi sono saliti a una media superiore ai 20 miliardi.
In tal senso si è espresso il governatore austriaco, Robert Holzmann, secondo cui la BCE dovrebbe prendere in considerazione la riduzione degli stimoli legati alla pandemia. La Bundesbank è certamente schierata a favore di tale ipotesi, anzi è come sempre a capo dei “falchi” a Francoforte. E sta avendo una ragione in più per esserlo: l’inflazione tedesca è salita al 3,9% ad agosto. Uno dei principali esponenti della CDU, il partito conservatore di Angela Merkel, tale Friedrich Merz, ha alzato la voce in piena campagna elettorale, paventando un tasso d’inflazione al 5%.
Esistono forti pressioni a che la BCE rallenti gli acquisti con il PEPP; specie adesso che l’inflazione nell’Eurozona è salita al 3%. Per contro, Christine Lagarde ha dalla sua almeno tre ragioni per opporvisi. Vediamole.
Le ragioni della BCE per insistere sul PEPP
Anzitutto, le elezioni federali in Germania. Si terranno il 26 settembre e i sondaggi iniziano a dare per vincente l’SPD, il Partito Socialdemocratico, già al governo di Grosse Koalition, ma da junior partner dei conservatori. Prendendo la cancelleria, magari alleati di Verdi e liberali dell’FDP, avrebbero una visione diversa da quella portata avanti da Berlino sotto la cancelliera su politica monetaria e fiscale. Il probabile cancelliere Olaf Scholz opterebbe per più tasse e più spesa per investimenti e guarderebbe con favore ai bassi tassi d’interesse della BCE.
E stiamo per entrare nell’autunno. Gli alti tassi di vaccinazione dovrebbero impedire all’Europa di rivivere l’incubo dell’anno scorso, quando la seconda ondata di contagi provocò un’impennata delle morti per Covid. Tuttavia, la variante Delta resta in agguato. Dubbia anche l’efficacia dei sieri a distanza di svariati mesi dalla loro somministrazione, tant’è che si parla da settimane di possibile terza dose. La prudenza sarebbe d’obbligo per la BCE. Ritirare gli stimoli monetari contro gli effetti della pandemia potrebbe rivelarsi un errore, proprio perché la pandemia continuerebbe ad esistere.
Infine, le elezioni presidenziali in Francia. Il primo turno si terrà in aprile, pochi giorni dopo la fine ad oggi fissata per il PEPP. Se la BCE decidesse, verosimilmente tra fine 2021 e inizio 2022, di non procrastinare il programma, chissà quali sarebbero i contraccolpi finanziari negli stati fiscalmente più deboli come l’Italia! Perché rischiare di destabilizzare l’Eurozona a ridosso di un’elezione così importante e al contempo incerta?
Opzioni BCE su acquisti bond
La BCE da davanti a sé diverse opzioni. Potrebbe decidere di ridurre gli acquisti settimanali, mantenendo invariata l’entità del PEPP. Ciò le consentirebbe di estenderne la durata anche oltre il marzo prossimo. Oppure, potrebbe spingersi a ridurre gli acquisti e ampliando al contempo l’entità del programma. Infine, potrebbe mantenere intatti gli acquisti settimanali e l’entità del PEPP o decidere di accrescere quest’ultima. Nel primo caso, sul mercato obbligazionario non dovrebbe abbattersi alcuna vera scure. Restando da acquistare circa 525 miliardi tra fine agosto e fine marzo, teoricamente gli acquisti settimanali scenderebbero a una media di 17,5 miliardi, sempre ipotizzando che il PEPP sarà sfruttato per intero.