Il fine settimana scorso ha spento le speranze di quanti si aspettavano ancora una Federal Reserve prudente sul rialzo dei tassi. Il governatore Jerome Powell è stato categorico: contro l’alta inflazione americana possibile anche mandare in recessione l’economia. A suo dire, il costo dell’inazione risulterebbe maggiore. Il discorso sta avendo un impatto inevitabile sul dibattito in seno al board BCE. Avanza l’ipotesi di prendere in considerazione un rialzo dei tassi anche dello 0,75%. E pensare che fino a pochi giorni fa c’era chi sperava in cuor proprio che si andasse verso una stretta dello 0,25%.
Al 30 giugno scorso sono cessati gli acquisti dei bond con il “quantitative easing” (QE), il programma monetario inaugurato sin dal marzo 2015 e che, salvo il 2019, è andato avanti fino a un paio di mesi fa. Tuttavia, la BCE ha assicurato il reinvestimento dei bond in scadenza finché ciò non si mostrerà necessario. Questa promessa fa sì che il bilancio dell’istituto non diminuisca, cioè che il grado di liquidità sui mercati non sia ridotto nel breve e medio termine.
Chiusura dei rubinetti BCE
Ora, con un’inflazione nell’Eurozona schizzata all’8,9% a luglio, mantenere tale livello elevato di liquidità non solo non ha più senso, ma risulta controproducente. E’ vero che l’alta inflazione di questi mesi sia foraggiata dalla crisi energetica e che, fino a un certo punto, ciò non dipenda dalla politica monetaria. Ma è altrettanto indubbio che l’eccessiva liquidità sui mercati stia alimentando la speculazione, cioè l’inflazione stessa.
Si parla sempre più spesso dei Ttf, i contratti del gas scambiati sul mercato olandese. L’esplosione dei loro prezzi sta facendo salire alle stelle le bollette.
Bond italiani a rischio sell-off
Ma la fine dei reinvestimenti con il QE equivarrebbe ad assestare un ulteriore duro colpo ai bond italiani. In media, i minori acquisti mensili ammonterebbero a 2 miliardi di euro. Cosa accadrebbe, infatti? La BCE lascerebbe scadere i titoli di stato e le obbligazioni private in portafoglio senza rinnovarli. A quel punto, sarebbe il mercato a dover coprire la maggiore offerta. Ciò porterebbe a una ulteriore ascesa dei rendimenti. Non resterebbe che confidare sui reinvestimenti effettuati con il PEPP, i quali sfruttano la flessibilità prevista dal programma e stanno consentendo alla BCE di acquistare bond italiani in proporzione nettamente superiore alla quota spettante al nostro Paese.
Ma anche qui c’è un problema: poiché i maggiori acquisti di bond italiani comportano un eccesso di liquidità sui mercati, questo deve essere sterilizzato tramite minori acquisti di bond, come i titoli tedeschi e francesi. E’ già avvenuto tra giugno e luglio, quando a fronte di +9,8 miliardi destinati ai BTp, ai Bund sono stati riservati -14,3 miliardi. Ma questo meccanismo non può andare avanti all’infinito, pena il deterioramento eccessivo nella qualità del portafoglio BCE. In sostanza, se al board BCE dell’8 settembre sarà posta anche fine ai reinvestimenti con il QE, per i bond italiani sarebbe una mazzata difficile da digerire. Si aprirebbero le porte del TPI, il nuovo scudo anti-spread varato a luglio e che di questo passo finirebbe per essere testato quanto prima.