La riunione del board BCE di settimana scorsa è stata un disastro sul piano della comunicazione. L’istituto ha annunciato il rialzo dei tassi a partire dal board di luglio, la fine del “quantitative easing” dopo il mese di giugno e solo una generica lotta alla frammentazione monetaria. Niente che somigliasse a quello scudo contro lo spread di cui si dibatte più o meno pubblicamente da mesi. I mercati hanno reagito con cali vistosi delle borse, rendimenti in forte rialzo e spread in allargamento.
L’incendio che infiamma il debito italiano
Il fatto che sullo scudo anti-spread non sia arrivata alcuna novità concreta significa che tra “falchi” e “colombe” alla BCE non ci sia ancora un accordo. E ciò conferma la diffidenza del Nord Europa verso l’Italia, in particolare, incapace di auto-riformarsi per uscire dalla sua ormai crisi secolare e riuscire così a riguadagnarsi la fiducia dei mercati. Tuttavia, nessuno pensa che credibilmente la BCE non intervenga nel caso in cui gli spread andassero fuori controllo. Ne vale della stabilità finanziaria e degli stessi prezzi nell’Eurozona. Il 2011 ci ha insegnato che bisogna fare di tutto per evitare sul nascere la crisi del debito sovrano.
E allora da cosa dipende questa lentezza di Francoforte nell’intervenire a favore dell’Italia? E se fosse voluta? Secondo Frederik Ducrozet, responsabile macro di Pictet e attento osservatore della BCE, questa interverrebbe, nel caso di frammentazione monetaria, sulla parte breve delle curve dei bond in crisi. In altri termini, acquisterebbe BTp a 2 anni, la scadenza che più rifletterebbe le condizioni monetarie.
Il punto è questo: se la BCE si precipitasse a spegnere l’incendio subito, l’Italia non si metterebbe a norma. Avere il pompiere sotto casa induce a scherzare col fuoco. Se il pompiere dista a una decina di chilometri e per arrivare impiega un po’ di tempo, ciò ci spinge alla prudenza, a non giocare con i fiammiferi mentre teniamo una tanica di benzina in mano. L’Italia ha bisogno di essere riformata e in un decennio di spread tenuto sotto controllo proprio dalla BCE di Mario Draghi, non ha fatto passi verso quella direzione.
Spread per fare pressione sui partiti italiani
La BCE non vuole sostituirsi alla politica fiscale. Vuole rendere chiaro a tutti i governi dell’area che il suo compito sia essenzialmente di tenere l’inflazione sotto controllo. Dopodiché, i conti pubblici devono essere solidi per reagire agli shock futuri. L’Italia di Draghi sperpera miliardi su miliardi in sussidi di ogni genere, in ciò distanziandosi molto poco da quella di Giuseppe Conte. Il dibattito politico – quel poco che ancora esiste – appare surreale, come se vi fossero ricchezze da distribuire a pioggia sui cittadini, quando il debito pubblico è salito al 150% del PIL.
Serve accrescere la pressione sull’Italia, affinché cambi rotta. Inutile dirvi che non sia Draghi il problema. E lo sanno anche le pietre in Europa. Ma i partiti che lo sostengono, essendo debolissimi, sono un freno a qualsivoglia ipotesi di riforma. Ed ecco che lo spread servirà come ricatto per indurli a più miti consigli in questo lungo anno pre-elettorale. E chissà che a Palazzo Chigi non faccia persino piacere. Dove Draghi non arriva con le minacce verbali verso la sua stessa maggioranza XXL, forse potrà l’incendio appiccato sui mercati dalla BCE.