Anheuser Busch InBev è l’impero della birra, con marchi come Bud Light e Budweiser, che nel complesso detengono quote di mercato nel mondo per circa il 25%. Nel 2016, riuscì ad acquisire la rivale SABMiller, ma da allora i problemi finanziari per la società del beverage sono aumentati. Sì, perché il suo impero affonda le radici su un debito di ben 100 miliardi di dollari. Di recente, Moody’s lo ha declassato all’ultimo gradino utile per mantenere il giudizio “investment grade”, cioè a “Baa1” con outlook “stabile.
Birra, consumi ed export: i numeri di un successo inaspettato
Nell’anno della fusione, il colosso della birra si presentava con un rapporto tra debiti ed EBITDA a 5,5, oltre il doppio del target di 2. In effetti, a pesare è stato proprio l’accordo di tre anni fa, costato 108 miliardi tra esborsi cash e scambi azionari. Per evitare ulteriori declassamenti, che scaraventerebbero il rating a “junk” o “spazzatura”, tra la fine del 2018 e l’inizio di quest’anno i dirigenti hanno finalmente annunciato alcune decisioni tese ad abbattere l’indebitamento. Anzitutto, il dividendo è stato dimezzato, così da risparmiare 4 miliardi di dollari; le attività in Australia sono state vendute per 11,3 miliardi e presto arriverà una IPO da 10 miliardi per le attività dell’Asia-Pacifico, che si terrà a Hong Kong.
Passi importanti, ma da Fitch vengono valutati poco incisivi. Servirebbero azioni più coraggiose, anche perché nei soli prossimi 5 anni, AB InBev dovrà sborsare quasi 40 miliardi per le scadenze di obbligazioni, senza nemmeno considerare le cedole. E sempre all’inizio di quest’anno, la società ha annunciato che emetterà obbligazioni a lungo termine, fino ai 40 anni di durata, mentre riacquisterà sul mercato secondario quelle medio-brevi, in scadenza fino al 2026. Ad oggi, non si può dire che gli investitori siano corsi ad acquistare le scadenze brevi in previsione del “buyback”.
Forti guadagni per i bond lunghi
Il bond febbraio 2023, cedola 3,30% (ISIN: US035242AL09 ), rende il 3% e ha messo a segno quest’anno un rialzo della propria quotazione del 4%. Niente al confronto con la performance esibita dalle obbligazioni più longeve. Le febbraio 2044 e cedola 4,625% (ISIN: US03524BAF31), si sono impennate del 21% e rendono il 4,14%, mentre quelle con scadenza 2046 e cedola 4,9% (ISIN: US035242AN64) sono esplose di ben il 24,5%, rendendo oggi appena il 4%. Naturale che sia così, data la duration rispettivamente di 14,6 e 15,4 anni contro 1,46 e 3,25 dei bond più corti, risultando così molto più sensibili alla riduzione dei rendimenti. Attenzione: tutti i titoli citati sono denominati in dollari USA, per cui all’acquisto presentano un rischio di cambio per gli investitori non americani.
Il punto è capire se vi sia ancora valore in questi titoli, cioè se siano destinati ad apprezzarsi nei prossimi mesi e anni. La montagna del debito difficilmente potrà essere abbattuta solo riducendo i dividendi o allungandone le scadenze, per cui la strada maestra resta certamente quella di aumentare il fatturato. Il problema per AB InBev sta proprio qui. Con la fusione, si è spostato maggiormente sui mercati emergenti, in quanto a più alto potenziale di crescita. Europa e America sono ormai mercati maturi, per cui la scelta in sé si è rivelata corretta. Tuttavia, la crisi che diverse economie emergenti hanno vissuto negli ultimi tempi, tra cui il Brasile, ha colpito i ricavi e le quote di mercato.
Se questo è senz’altro vero, il peggio sarebbe alle spalle e le prospettive nel medio-lungo termine resterebbero positive. E se entrassero in crisi le grandi economie ricche? In teoria, nessun problema significativo per la produttrice della Bud, in quanto le vendite non risentirebbero negativamente della congiuntura avversa su questi mercati.