Il dibattito in seno al governo Meloni sulla riforma delle pensioni entra nel vivo con la fiducia incassata dal Parlamento. La Lega di Matteo Salvini continua a battersi per Quota 41: tutti i lavoratori andrebbero in pensione con 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età anagrafica. Una soluzione che alla premier Giorgia Meloni appare costosa. Per questo il ministro del Lavoro, Marina Calderone, starebbe studiando l’ipotesi di una Quota 102 flessibile: i lavoratori andrebbero in pensione tra 61-62 e 66 anni di età se in possesso di almeno 35-41 anni di contributi.
Il riferimento è alla modalità di calcolo delle pensioni, che in futuro sarà solamente contributivo. In altre parole, ciascun pensionato percepirà un assegno commisurato ai soli contributi versati e annualmente rivalutati dall’INPS sulla base dell’andamento del PIL nominale medio nel quinquennio precedente.
Bomba sociale con il contributivo puro
Il problema del contributivo si pone per quanti avranno versato pochi contributi, magari perché hanno avuto contratti di lavoro discontinui, precari, bassi stipendi o abbiano lavorato in nero. Rientreranno nella categoria del contributivo puro tutti coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995 e quanti entro quella data abbiano maturato meno di 18 anni di contributi.
Serve una riforma di sistema, ma al momento mancano sia il tempo che le risorse. Bisognerà trovare una qualche soluzione di corto respiro per superare la legge Fornero come fu scritta alla fine del 2011. Il sistema delle quote costa, a meno di introdurre correttivi utili ad abbassare la platea dei beneficiari e/o l’ammontare dell’assegno percepito. Salvini si mostra contrario alle penalizzazioni per chi deciderà di andare in pensione prima dei 67 anni. Ma il governo non dispone di miliardi da destinare al capitolo pensioni.
Se Quota 41 sarà, con ogni probabilità sarebbe accompagnata dal requisito anagrafico minimo dei 60-61 anni. Quanto all’ipotesi ventilata nei giorni scorsi di una Opzione Uomo, il costo sarebbe contenuto per via del calcolo interamente contributivo dell’assegno e, anche in questo caso, dell’innalzamento ad almeno 60-61 anni del requisito anagrafico. Per le donne ad oggi è di 58 anni (59 anni per le lavoratrici autonome). Non escluso, poi, che anche i 35 anni di contribuzione minima necessari possano essere innalzati per gli uomini a 37-38 anni per ridurre la platea dei potenziali beneficiari.
Pensioni problema tra qualche decennio
La bomba sociale non sarà questione di qualche anno. Scoppierà tra almeno un decennio, quando inizieranno ad andare in pensione i primi lavoratori con il contributivo puro. Dunque, l’allarme sulle pensioni lanciato da Meloni non per l’oggi, ma ciò non significa che sia meno grave. Del resto, abbiamo trascorso l’ultimo decennio a trascurare la condizione reale del mercato del lavoro da un lato e del sistema previdenziale dall’altro. Sulla legge Fornero vi è stata e continua ad esserci una guerra di religione insensata e inconcludente.
Certo è che la bomba sociale non può essere disinnescata con largo anticipo puntando sui pre-pensionamenti. Mandare in quiescenza persone che già beneficiano di un calo dell’assegno più favorevole rispetto alle future generazioni di pensionati servirà solo ad accrescere le disuguaglianze tra genitori e figli. E, soprattutto, se non prima si aumenta il tasso di occupazione e di crescita del PIL, la massa dei contributi versati è destinata a ristagnare nella migliore delle ipotesi. Allora sì che le pensioni saranno una bomba.