Da Clinton a Bush, il mercato ha commesso un paio di errori di previsione
1992: reduci da una vittoria contro l’Iraq nella prima Guerra del Golfo e beneficiando del crollo del comunismo, Unione Sovietica compresa, nessuno avrebbe scommesso sulla vittoria del giovane democratico Bill Clinton alle presidenziali. La riconferma di Bush appare scontata, il mercato la fiuta e cresce del 4%. Ma succede l’impensabile: Bush viene bocciato alle urne. Memorabile la frase dell’organizzatore della campagna elettorale del vincitore: “it’s the economy, stupid!”.
In effetti, il presidente in carica paga la prima recessione dell’economia americana, dopo la fase di crescita più lunga della storia recente negli USA. 1996: forte della crescita economica e di un indiscusso consenso personale, in pochi credono che Bill Clinton possa essere battuto dal conservatore Bob Dole. Il mercato non di sicuro, puntando decisamente sulla rielezione e crescendo dell’11%. Alla fine, avrà avuto ragione. 2000: dopo 8 anni al governo, per i democratici è arrivato il momento di tornare all’opposizione, quando già lo sono da 6 anni al Congresso. Al partito della sinistra americana, infatti, dopo l’era Roosevelt non è mai riuscito di ottenere il terzo mandato di fila. Il mercato non crede alla vittoria di Al Gore, ha sentore che a vincere sarà George W.Bush e cede del 9% da gennaio a settembre. Pur se in modo contestato, la vittoria sarà effettivamente assegnata al figlio dell’ex presidente. Anche in questo caso, Wall Street ci aveva visto lungo. 2004: dopo l’11 settembre e 2 guerre contestatissime in Afghanistan e Iraq, la rielezione di Bush junior appare dubbia. Il Dow Jones perde il 3,5% dall’inizio dell’anno fino al mese di settembre, ma a sorpresa il secondo mandato arriva.