Mentre sembra essere tornata la crisi di fiducia verso l’euro, a causa sia delle tensioni politiche nell’area, alla vigilia di decisivi appuntamenti elettorali in (quasi) tutti gli stati-chiave, ma anche e, soprattutto, per via della debole performance delle economie aderenti, è il caso di fare qualche bilancio oggettivo, con numeri alla mano, di questi primi 18 anni di moneta unica, ovvero verificare chi abbia effettivamente perso e chi, invece, è riuscito a cavarsela bene con l’ingresso nell’Eurozona.
I dati che vi proponiamo sono quelli dell’OCSE e fanno riferimento al pil pro-capite di alcune economie dell’unione monetaria, espressi in dollari USA e a parità di potere di acquisto.
La caduta dell’Italia
Partiamo dall’Italia: in 18 anni, il pil pro-capite nel nostro paese è cresciuto di oltre il 45%, cosa che ci spingerebbe a ritenere che la nostra economia nell’era euro non sarebbe andata così male. Tuttavia, parliamo di un aumento nominale, ovvero comprensivo dell’inflazione, che nello stesso arco di tempo si è attestata al 38,5% cumulato. Di fatto, un italiano medio ha registrato in 18 anni un miglioramento del proprio reddito reale di appena il 7%, pari al +0,4% all’anno, quasi impercettibile.
Il confronto con le altre economie ci segnala una certa caduta dell’Italia. Nel 1999, anno di ingresso nell’Eurozona, il nostro pil pro-capite ammontava al 107% di quello medio dell’area, mentre oggi risulta sceso al 90%. Dato interessante: alla fine degli anni Novanta, il pil pro-capite italiano, sempre a parità di potere d’acquisto, risultava superiore a quello della Francia di circa il 4,5%, quando oggi è inferiore ad esso di quasi il 10%. (Leggi anche: Economia italiana solo 21-esima nel 2050)