Era troppo bello per essere vero. E, infatti, non era vero. L’Argentina emetteva appena 3 anni fa bond a 100 anni in dollari, scadenza giugno 2117 e cedola 7,125% (ISIN: US040114HN39), i primi della sua storia e un inedito per uno stato con uno o più default alle spalle. Gli investitori internazionali accolsero il collocamento come il segnale che la crisi finanziaria di Buenos Aires fosse alle spalle, celebrando il corso riformatore del presidente Mauricio Macri. Un anno dopo, il cambio crollava sui mercati e il paese veniva costretto a chiedere l’ennesimo aiuto al Fondo Monetario Internazionale, che stanzierà ben 57 miliardi, mai così tanti per una singola economia in un’unica soluzione.
Al suo esordio, offriva un rendimento del 7,85%, apparentemente tanto in un contesto di bassi tassi sui mercati avanzati, ma quello che in pochi avevano scontato è che l’Argentina sarebbe andata subito dopo a gambe per aria per la nona volta nella sua storia. Ieri, questi titoli sul secondario scambiavano ad appena 41 centesimi. Chi li acquistò all’atto della loro emissione oggi perderebbe più della metà del capitale rivendendoli.
A dire il vero, i bond 2117 non esistono sostanzialmente più dopo l’accordo tra governo e creditori per la ristrutturazione del debito sovrano per circa 66 miliardi di dollari. Essi sono stati accorciati nella durata e nel prezzo: verranno rimborsati in parte tra 15 anni e in parte tra 26 e a un prezzo di 54,50 centesimi. Solo chi ebbe la temerarietà di investirvi negli ultimi mesi, alle quotazioni crollate fin sotto i 23 centesimi a inizio maggio, può cantare vittoria.
Bond Argentina, ristrutturazione quasi conclusa e il mercato resta scettico
Prezzi bond restano bassi
A differenza del 2017, il mercato è così disincantato verso l’Argentina, che nemmeno l’accordo riesce a risollevare i prezzi, i quali teoricamente dovrebbero tendere a quei 54-55 centesimi sopra indicati. Evidentemente, gli obbligazionisti pretendono un margine intorno ad almeno il 25% per comprarli, temendo che il peggio non sia alle spalle.
I bond a 100 anni di cui parliamo, così come gran parte degli altri ristrutturati, risultano denominati in dollari. Per questo, solo se la banca centrale disporrà di riserve valutarie adeguate potrà affrontare i pagamenti, altrimenti la pressione sul governo rimarrà elevata e così sui prezzi. Ma le riserve dipendono dalla capacità dell’economia di esportare e di attirare capitali esteri, a sua volta legata alle riforme economiche che il governo dovrebbe varare per rendere l’Argentina un mercato efficiente e appetibile per la finanza estera. Nessuna di queste condizioni sussiste ad oggi, per cui fanno bene gli investitori a non fidarsi dei “Tango bond” persino dopo l’accordo. Hanno fatto male ad entusiasmarsi tre anni fa solo per una presidenza all’apparenza liberale.