In settimana, la Cina ha emesso il suo primo bond in dollari da anni accessibile al mercato americano. Lo ha fatto con obbligazioni di stato a 3, 5, 10 e 30 anni per un controvalore complessivo di 6 miliardi di dollari. Il collocamento è avvenuto con successo, se è vero che gli ordini registrati hanno ammontato a 27 miliardi, circa 4 volte e mezzo l’importo offerto. Circa il 15% dell’offerta è stata assegnata agli investitori americani. Quando mancano tre settimane alle elezioni presidenziali USA, Pechino ha sfidato le forti tensioni politiche con Washington, riuscendo a segnalare la crescente integrazione tra i due principali mercati finanziari del mondo.
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Nel dettaglio, i titoli emessi offrono cedole rispettivamente dello 0,40%, 0,55%, 1,20% e 2,25%. In altre parole, il decennale è stato collocato sul mercato con rendimento a premio di circa 70 punti base rispetto al Treasury di pari durata, mentre lo spread sulla scadenza a 30 anni si è attestata nell’ordine dei 75 punti base.
Costi di rifinanziamento contenuti, insomma, in un periodo non certamente favorevolissimo per l’economia cinese, epicentro della crisi sanitaria, pur già in ripresa prima del resto del mondo avanzato. Nelle ultime settimane, però, le buone notizie per Pechino sono arrivate proprio dal mercato obbligazionario, dopo un nuovo inserimento dei bond governativi cinesi negli indici internazionali. Va detto, però, che lungo la curva delle scadenze i rendimenti non hanno fatto che crescere negli ultimi mesi, arrivando al 3,25% sui 10 anni e al 2,90% sui 2 anni. E questo, malgrado l’inflazione cinese si sia ridotta dal 5,4% di gennaio all’1,7% di settembre.
Opportunità e rischi in Cina
Il mercato obbligazionario della Cina è il secondo più grande al mondo dopo quello americano e vanta dimensioni da 16 mila miliardi di dollari. Ma ad oggi, appena il 2% di esso è detenuto dagli investitori stranieri. Proprio la scarsa accessibilità è stata alla base dell’esclusione dei suoi bond dagli indici internazionali.
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Forse, l’emissione rivolta anche agli investitori americani è stato un segnale in tal senso, ovvero ha rispecchiato l’intenzione del regime comunista di accettare l’ingresso dei capitali esteri senza esclusioni e in quantità maggiore rispetto al recente passato. Per il governo, gli enti locali e le società domestiche si tratta di una grossa opportunità. L’apertura implicherebbe per loro la possibilità di emettere debito a costi ancora più contenuti, confidando su una domanda più ampia e differenziata.
Al contempo, gli investitori stranieri troverebbero maggiori opportunità di impiego dei capitali in assets più remunerativi e mediamente di elevata qualità. I rischi, tuttavia, non mancano, come dimostra in queste settimane il caso di Evergrande, la società di costruzioni sotto stress finanziario a causa dei “lockdown” e crollata in borsa nei giorni scorsi dopo l’annuncio di un aumento di capitale finalizzato al rifinanziamento del debito. I tassi di default restano bassi in Cina, ma più per l’opacità delle regole e la mano dello stato dietro a crescenti operazioni di rinegoziazioni dei bond all’ultimo minuto. Cina sì, ma con prudenza.