La Cina si rassegna a una crescita più bassa, dopo averla drogata per 10 anni a colpi di debiti

Il debito in Cina è esploso dal 2008 e quel che maggiormente preoccupa è la sua inefficienza: ha generato una crescita scarsa.
6 anni fa
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La notizia economica di oggi è che la Cina ha abbassato il target di crescita del suo pil per quest’anno al range 6-6,5% dal “circa il 6,5%” a cui puntava precedentemente. Gli analisti si mostrano concordi nel sostenere che molto difficilmente potrà superare il 6,5% e allinearsi al 6,6% dello scorso anno, quando si è registrato il ritmo più lento da 25 anni. Certo, se la crescita economica rallentasse sotto il 6%, sarebbero grossi guai. I numeri sembrerebbero un miraggio per le economie avanzate come Europa, Nord America e Giappone.

Si pensi che negli USA si è parlati di boom insostenibile, quando nel secondo trimestre il pil risultò in aumento su base annua del 4,2%. In effetti, bisogna considerare che quella cinese non è ancora un’economia matura, anzi il governo di Pechino ha fissato come obiettivo per il 2020 il raddoppio del pil rispetto ai livelli di inizio decennio, così da poter definire la sua una “economia modestamente avanzata”.

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Affinché tale target possa essere centrato, il pil dovrà crescere quest’anno e il prossimo del 6,2% medio e non è detto che ci riesca. E che dire della scarsa affidabilità delle statistiche cinesi? Più di qualche analista mette in guardia da anni che le reali cifre sulla crescita sarebbero molto, molto più basse di quelle divulgate dalle istituzioni cinesi, persino inferiori forse ai livelli attuali delle principali economie avanzate. Insomma, un ulteriore rallentamento rischierebbe di trascinare la Cina in recessione, per quanto ufficialmente non sarebbe così.

La corsa al debito dal 2008 in Cina

Come sappiamo, il principale problema per l’economia cinese al momento è rappresentato dalle tensioni commerciali. Proprio in questi giorni, i funzionari di Pechino e Washington stanno portando avanti colloqui serrati per evitare che la “guerra” dei dazi tra le due potenze prosegua. Ad ogni modo, anche scontando una congiuntura internazionale meno favorevole e una progressiva chiusura di tutto l’Occidente verso le sue società high tech, come rivela il caso Huawei, il presidente Xi Jinping cerca adesso di sostenere la domanda interna, attraverso tagli alle tasse da poco annunciati e che riguarderebbero, in particolare, le piccole imprese per un importo annuo di 30 miliardi di dollari.

Un paio di decimali di pil, ma potenzialmente sufficiente a tenere i tassi di crescita sopra il 6%, allontanando lo spauracchio di un atterraggio duro dopo un decennio trascorso all’insegna della “droga” del credito.

La Cina reagì alla recessione globale del 2008-’09 con stimoli monetari senza eguali nel mondo, al contempo spingendo le amministrazioni locali a realizzare progetti spesso faraonici, con l’unico obiettivo di tenere alta la domanda interna e sopperire alla debolezza della congiuntura internazionale. Da allora, la corsa al debito esplose nel settore privato, in particolare. Se nel 2008, i crediti concessi a famiglie e imprese ammontavano a 36.400 miliardi di yuan, alla fine dell’anno scorso sarebbero risultati a oltre 190.000 miliardi. Il settore pubblico ha registrato anch’esso un aumento esponenziale, ma meno accentuato, passando da un indebitamento complessivo di 8.100 miliardi a uno di circa 36.000 miliardi di yuan.

L’effetto di questo boom del credito si è tradotto in un’esplosione del debito totale della Cina a qualcosa come il 252% del pil. Parliamo di 34.000 miliardi di dollari di debiti, di cui l’84% a carico del settore privato. Erano pari al 148% nel 2008, cioè a livelli non allarmanti. Da allora, il pil nominale cinese è triplicato da 30.067 a sopra 90.000 miliardi di yuan. Questo ci porta a sostenere che l’indebitamento avvenuto nell’ultimo decennio presso la ormai seconda economia mondiale sarebbe stato tutt’altro che efficiente. In effetti, l’aumento in valore assoluto del debito totale è stato 3 volte superiore all’aumento del pil. Come dire, sono serviti ben 3 yuan di prestiti a famiglie, imprese e stato per generare la crescita di appena 1 yuan.

Se deflazioniamo il pil di fine 2018 della crescita cumulata dei prezzi dal 2008, pari al 24,5%, otteniamo che per generare 1 yuan di ricchezza reale sono serviti in Cina ben 4,3 yuan di maggiore debito nel decennio passato, non esattamente un dato di cui andare orgogliosi.

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Boom del debito inefficiente

In effetti, molti progetti pubblici si sono rivelati insostenibili secondo un’analisi benefici-costi. La concorrenza tra amministratori locali per conquistarsi il consenso e il plauso dei vertici nazionali del Partito Comunista e della burocrazia è stata deleteria, spingendo a spendere senza alcuna logica di efficienza e a sovraindebitare gli enti locali, visto che gli investimenti non sono stati compensati, in molti casi, da una pari crescita della ricchezza sui territori. Del resto, che gli investimenti abbiano inciso per il 45-50% del pil, quando presso qualsiasi altra economia avanzata non si va oltre la metà di tale percentuale, svela le basi di una crisi di sovrapproduzione che sono state poste in questi ultimi anni e ci interroga su quali sarebbero stati i ritmi di crescita con una politica del credito più conservativa. Ne è conseguita, poi, anche una potente e quanto mai pericolosa bolla immobiliare, che negli ultimi tempi è diventato un rischio preoccupante con i prezzi delle abitazioni calanti presso le grandi città.

Eppure, adesso fermare tutto questo non è facile, perché i debiti vanno ripagati man mano che giungono a scadenza e ciò costringe la Banca Popolare Cinese a mantenere accomodante la politica monetaria, altrimenti sia il settore privato che quello pubblico non sarebbero più capaci anche solo di onorare i prestiti ricevuti, mandando le banche a gambe per aria. Vero è che le autorità hanno iniziato a segnalare la volontà di disciplinare il mercato, accettando vari casi di default societari, ma sempre nei limiti della stabilità finanziaria. Da qui, l’ormai frequente abbassamento dei coefficienti di riserva obbligatoria nell’ultimo anno, di cui l’ultimo di pochi giorni fa per 100 punti base, al fine di iniettare liquidità in un sistema famelico di cash; anche se ciò indebolisce il cambio e manda su tutte le furie l’America di Trump, che non capisce se i cinesi stiano svalutando a fini competitivi.

La verità per la Casa Bianca potrebbe essere ben peggiore: Pechino sta cercando disperatamente di puntare sui consumi interni per non smettere di crescere. E tutto vorrebbe permettersi, tranne che di aprire proprio adesso il suo mercato da 1,4 miliardi di consumatori alle merci straniere.

I consumi in Cina sosterranno l’economia mondiale e il Made in Italy

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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