Sono più di 10 milioni i lavoratori stranieri in Arabia Saudita, circa un terzo dei 30,8 milioni di abitanti del regno. Negli anni del boom economico, la loro presenza è stata più che necessaria per un’economia affamata di costruzione e dove il tasso di occupazione tra la popolazione locale è abbastanza basso, sia per il divieto vigente in molti settori per le donne di esercitare la professione, sia anche per il generosissimo stato sociale saudita, che di fatto spesso rende quasi superfluo lavorare.
Crisi petrolio frena crescita saudita
L’ampio “buco” fiscale ha rinviato o messo del tutto in soffitto numerosi progetti di costruzioni pubblici, facendo venire meno la necessità di manodopera straniera e innalzando all’11,5% il tasso di disoccupazione tra i sudditi sauditi, livelli pericolosamente alti per un regno assoluto e dispotico, ma che basa la sua forza proprio sul consenso capillare di cui gode, grazie agli elevati standard di vita degli abitanti. Se nel decennio precedente l’economia è cresciuta al ritmo del 5% all’anno, per il 2016 dovrebbe accontentarsi di un tasso inferiore al 2%. Adesso, nel tentativo di creare lavoro a discapito dei lavoratori stranieri, il Ministero del Lavoro ha annunciato il divieto entro sei mesi per i lavoratori stranieri di vendere o mantenere telefonini e accessori. Novità sono attese anche per i taxi, il settore turistico, dei viaggi, immobiliare, ortofrutticolo e della gioielleria. Obiettivo: creare 1,3 milioni di posti di lavoro per i cittadini sauditi.