Il primo pensiero del governo e di tutti gli italiani di queste settimane si concentra sulla lotta al Coronavirus. L’emergenza sanitaria più grave che la Nazione abbia mai dovuto affrontare da almeno un secolo a questa parte miete quotidianamente vittime e poco importa se il conteggio dei decessi sia inflazionato dal metodo di calcolo. Le immagini delle decine di bare a Bergamo trasportate dai mezzi militari verso i crematori hanno scioccato l’opinione pubblica, non solo italiana, confermando la dimensione della tragedia in corso.
Ma finita l’emergenza, faremo i conti con le sue macerie. E saranno certamente politiche, ma anche economiche. Non abbiamo idea della dimensione esatta della crisi già iniziata, sappiamo solo che essa si rivelerà di intensità mai vissuta in tempi di pace. La crisi del 2009 sarà ricordata, a confronto, come un periodo prospero. Pensate solo che Goldman Sachs stima per il secondo trimestre che il pil USA possa crollare del 24%. Altri analisti sono meno diplomatici: -50%! Leggendo questi numeri, capiamo benissimo quanto le previsioni di Mazziero Research sul pil italiano nel primo trimestre siano state persino ottimistiche: -12/-14%. E per l’intero 2020, davano un -8/-10%, anche se saranno aggiornate e probabilmente al ribasso.
Previsioni choc sul pil italiano: con questi numeri drammatici, qua salta tutto!
Gli scenari meno peggiori per l’Italia
Tutti siamo mentalmente preparati a visualizzare dati macro aberranti per il trimestre in corso e/o per il prossimo, a seconda di quando l’uno o l’altro stato sia entrato in piena emergenza sanitaria. Per il dopo, possiamo affidarci alle simulazione degli scenari, anche sulla base della storia recente. Il primo sarebbe di una crisi ad “U”. Si definisce così quella recessione caratterizzata da una caduta non traumatica del pil e seguita da una risalita graduale. In genere, le crisi sono di questo tipo.
Ma da come stiano andando le cose, sembra che non stiamo dirigendoci verso una crisi a forma di “U”. Il secondo scenario possibile è quello a “V”: crisi violenta, con una caduta impressionante del pil, seguita da un rimbalzo piuttosto immediato. Qui, la sofferenza iniziale sarebbe più forte del primo scenario, ma almeno la ripresa avverrebbe subito. Se così fosse, dovremmo stringere i denti per alcuni mesi e con il trascorrere dei trimestri riusciremmo a spazzare via le macerie.
La crisi a “L”
Infine, lo scenario peggiore: la crisi a “L”. Ci sarebbe una caduta del pil, non seguita da alcuna ripresa sostanziale. In poche parole, la perdita di ricchezza subita durerebbe a lungo. Le macerie resterebbero ammassate per anni, come quando dopo un terremoto, la ricostruzione non decolla per i soliti impicci burocratici e organizzativi. L’aspetto più pauroso di questa tipologia di crisi consiste nell’elevata probabilità che sia proprio quella che l’Italia accuserà. E lo temiamo guardando a quanto accaduto nel 2008-’09. In quel biennio, l’Italia perse oltre il 6% di pil. L’anno seguente, non si registrò un vero rimbalzo, poiché la crescita fu solo dell’1,7%. A titolo di confronto, la Germania perse il 5,7% nel 2009, ma crebbe del 4,2% nel 2010 e del 3,9% nel 2011. Poco più di un anno più tardi, quindi, aveva del tutto recuperato la ricchezza perduta.
Al contrario, l’Italia rallentava già nel 2011 (+0,9%), “bruciando” altri 4,3 punti nel biennio seguente. E ancora alla fine del 2019, a distanza di 11 anni dalla prima recessione, la nostra economia restava indietro del 4% rispetto ai livelli reali del pil nel 2007. Dunque, già ci troviamo all’interno di una crisi ad “L” e stiamo dirigendoci verso una nuova recessione dalle conseguenze potenzialmente simili.
E’ vero che l’Eurozona continua a mostrarsi un’unione monetaria disfunzionale, ma il cambio di toni verso Roma delle ultime settimane c’è stato, malgrado la tremenda gaffe di Christine Lagarde alla conferenza stampa della BCE. E questo clima di maggiore comprensione avrebbe attecchito per una ragione di fondo: a Bruxelles, tutti sanno che l’Italia non può permettersi un’altra crisi come quella che non è riuscita ancora a mettersi alle spalle. Un’altra caduta in una recessione a “L” finirebbe per azzerare le argomentazioni a sostegno della permanenza nell’euro. E giusto o sbagliato che fosse, i numeri per un ritorno alla lira finirebbero col trovarsi in una situazione di miseria diffusa, in cui non vi sarebbe più molta ricchezza da difendere.
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