La Banca Popolare Cinese ha tagliato i tassi sui finanziamenti a medio termine alle istituzioni finanziarie di 5 punti base, portandoli al 3,25%. L’ente ha così reagito al rallentamento in corso dell’economia cinese e alla fine del rally sul mercato obbligazionario dal settembre scorso. Il pil nel terzo trimestre è cresciuto del 6% su base annua, il livello minimo del range 6-6,50% fissato dal governo come obiettivo. Già da questo trimestre, alcuni analisti si aspettano una discesa ulteriore sotto il 6%. Ce ne sarebbe per offrire margini a Pechino per reagire allentando la sua politica monetaria, se non fosse che a settembre l’inflazione sia salita al 3%, il tasso più alto da 6 anni.
E’ accaduto, infatti, che la carne suina, ingrediente fondamentale della cucina nazionale, abbia superato i 50 yuan al chilo, qualcosa come 6,30 euro. I maiali sono diminuiti del 40% a seguito della febbre suina che si è diffusa negli ultimi mesi. Questo ha finito per spingere i prezzi domestici e per arrestare il mercato dei bond, con i rendimenti a 10 anni ad essere saliti fino a circa 30 punti base al 3,34% in poche settimane e quelli a 2 anni di 25 bp al 2,85%.
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L’impatto della crisi suina sui bond
Gli investitori temono che la risalita dell’inflazione non consenta alla Banca Popolare Cinese di reagire adeguatamente al rallentamento dell’economia, per cui hanno preferito vendere le obbligazioni di stato. A ottobre, poi, l’istituto non aveva nemmeno offerto prestiti alle banche con i finanziamenti a medio termine, cosa che aveva confermato i sospetti del mercato. Nelle scorse ore, invece, sono stati erogati 400 miliardi di yuan, ma circa 3 in meno dei prestiti in scadenza. Probabile, poi, che anche il tasso di riferimento venga tagliato da qui a breve. Anche se il taglio è stato poca roba, il segnale appare chiaro: la politica monetaria cinese resta accomodante.
E al contempo si registrano timide speranze per un accordo commerciale con gli USA che eviti una rovinosa escalation dei dazi. In teoria, ciò avrebbe ripercussioni negative sui bond cinesi, riducendo i rischi percepiti e spronando gli investitori a puntare più sul comparto azionario. Ma va detto che proprio queste prospettive stanno contribuendo a sostenere il cambio ai massimi da tre mesi, con lo yuan ad essere sceso stamattina a un rapporto inferiore a 7 contro il dollaro, guadagnando il 2,5% in un paio di mesi. E un cambio stabile o rafforzato riduce la pressione sui prezzi e consente alla banca centrale di intervenire con maggiori margini a disposizione per tagliare i tassi, cosa che avrebbe effetti positivi proprio per il mercato obbligazionario.
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Infine, si consideri che la crisi suina di questi mesi sia un fatto passeggero, incapace da solo di alimentare strutturalmente l’inflazione, semmai si sta traducendo in una fiammata dei prezzi destinata a rientrare nel tempo. Certo, finché dura complicherà i piani dell’istituto sui tassi, sebbene questi abbia segnalato negli anni di disporre di svariati strumenti per pompare liquidità sui mercati, ad esempio tagliando dal 2018 ben 7 volte il coefficiente di riserva obbligatoria delle banche, così da consentire loro di prestare più denaro.